giuliano

venerdì 15 marzo 2013

UNA FOTOGRAFIA


















Pur avendo espresso la volonta di astenermi da qualsiasi commento,
lasciando che le pagine e i documenti storici parlassero da soli, il ca-
so del reverendo e del professore, rappresentando l'incontro fra scien-
za progresso conquista ricerca... e fede, mi hanno indotto ad una
breve riflessione.
Forse una sorta di personale o impersonale lettera senza nessun de-
stinatario specifico. Semplici considerazioni....
Questo è un tema ampiamente dibattuto, ed anche se non per mira-
ti interessi ho parteggiato dalla parte del reverendo, certo posso ca-
pire le motivazioni del pioniere, scienziato,... e conquistatore artico.
Certo per chi abbia dimistichezza con Cook, sappiamo non essere
nuovo a queste vicende, ricordiamo la difficile controversia per il 
primato della conquista del Polo.
Una vicenda tutta americana, senza contorni coloniali i quali posso-
no dare il sospetto (per me quanto per il reverendo) di un 'conser-
vatorismo' in ambito politico; una vicenda la quale rappresentò lo
scienziato di nuovo in odor di 'frode' e 'sete' di arrivismo e che lo
vide primo attore 'artico'.
Forse sottilmente, questo aspetto (colono-conservatore) è stato
presentato dal capitano della Belgica, il quale ci informa della con-
dotta del Bridges nella colonia da lui gestita, poi però nel giro di po-
che pagine cambia opinione sul famoso colono in maniera inaspet-
tata...., comunque lo 'dipinge' come un personaggio a caccia della
buona fede altrui.
Stessa 'buona fede' dello 'scienziato progressista' a danno del 'con-
servatore colono'.
Comunque, pur avendo manifestato il proposito di astenermi da qual-
siasi considerazione e lasciare quindi il giudizio ai lettori, se ve ne fos-
sero, credo e ripeto che la vicenda del dizionario e del suo autore, e
la lingua perduta, sia il pretesto di una riflessione di più ampio respiro.
La storia è fatta dai conquistatori, in questo caso dovremmo decidere
chi è il conquistatore, chi il colono, e chi l'ecologo-ricercatore propria-
mente detto dell'intera vicenda.
Le fonti sono attendibili, certo se avessi potuto tradurre l'opera del
Cook in merito allo stesso viaggio, avremmo avuto un terzo punto di
vista che può aiutarci ancor di più nel giudizio dell'intera storia.
Perché è proprio di storia che qui si parla, fatti e cronache di storia
nel difficile terreno che corre e divide il pioniere dal nativo. Argomen-
to ampiamente trattato, ampiamente documentato, ampiamente criti-
cato, ampiamente sfruttato.
Argomento che ha alimentato innumerevoli esami di coscienza, sem-
pre dopo, mai durante; argomento che ha sempre conferito l'illusione
di potere, e di contro, profonda riflessione su come il fenomeno si con-
solida all'interno della storia.
La storia, appunto, è il nostro argomento.
Questo tengo a precisarlo, perché quale gnostico, e forse anche un
po' eretico, penso che la storia sia dettata da fenomeni ciclici riflessi
nella costanza della sua misura, il Tempo, quindi nella realtà dei fatti
non vi sono cambiamenti specifici a parte quelli che riteniamo quanti-
ficabili e misurati dal progresso, nell''evento' della storia.....fra una
frazione di tempo e l'altra.....
Ciò può apparire non gradito, e sicuramente lo è.
Può apparire blasfemo, e sicuramente lo è.
Può apparire superficiale....e sicuramente...non lo è...
Innanzitutto esaminiamo la prima eresia: la scienza incontra la fede,
pensa di preservare un enorme tesoro o meglio di studiarlo per con-
ferire una giustificazione alla sua motivazione di partenza: il viaggio;
quale fonte di ricerca, scoperta, studio, confronto, dibattito, analisi,
divulgazione.
Poi, però, scopriamo gli scienziati essere i peggiori colonizzatori.
Prendiamo atto con acume e fondato rigore scientifico, lo stesso dei
nostri illustri scienziati, che ogni fine giustifica ogni mezzo adottato
per l'obiettivo prefissato.
Cosa li divide dai coloni e li accomuna e fraternizza ai nativi?
Qualche caramella? Qualche perlina? Qualche parola di conforto per
le loro e nostre coscienze?
Certo, quale eretico avrei dovuto convenire immediatamente con le
note in merito del capitano della Belgica, circa le difficoltà enormi dei
nativi, del loro numero e della difficile sopravvivenza in un ambiente
dove poco tempo prima erano una razza affermata. Però ho scorto an-
che delle contraddizioni di fondo per l'arco dell'intero libro, ho scorto
delle giustificazioni volutamente e volontariamente apportate per rende-
re sensazionale l'intero evento il quale può giustificare un viaggio così
bene sponsorizzato nell'arco di 'lunghi quindici mesi' che appaiono se-
coli, dinnanzi ad una vita intera spesa per uno sforzo, una volontà, una
coscienza dedicata ad un impegno non richiesto, e il cui valore si è ri-
dotto ad un gesto di pochi minuti per ridurla a meno del valore di una
perlina o caramellina....offerta al nativo quanto al reverendo...
Una vita e pochi mesi, quale occhio e quale macchina fotografica può
essere veramente attendibile per quella fotografia che noi nominiamo
anima...se la scienza ne riconosce una.......
...Ecco l'eresia....
Quale occhio può essere attendibile, l'occhio prodigioso di Cook e tut-
ti i suoi consimili ...o una vita intera spesa per un'anima...., e quale
valore è concesso e con quale valore viene giudicato l'impegno....
Anche io spesso mi trovo di fronte allo stesso problema, per scoprire
con amarezza che i nemici della mia costante e volontà gratuita di cultu-
ra crescono nel rigoglioso terreno ben retribuito ...della stessa cultura e
molto spesso della scienza.
Coloro i quali spesso amano definirsi progressisti.
Su questo dovremmo porre il dovuto confronto fra 'ricercatore' propria-
mente detto, e 'colono' propriamente detto. Cosa significa questo con-
fronto.
Lo spiego in termini letterari, e forse non propriamente scientifici.
Quando precedentemente in un altro post ho fatto riferimento al genio
di Faulkner, non ho accennato al grande dilemma rilevato nei suoi scrit-
ti, intendiamoci non sono una Pivano, ho letto qualcosa di lui, del suo
tempo e della sua difficile biografia; felice in facile apparenza.
Dicevo....il grande dilemma, il grande complesso di colpa, il peccato di
un intero popolo dinnanzi ad una terra ugualmente conquistata e coloniz-
zata: la macchia della schiavitù, il fardello dell'uomo del sud in riferimento
alla difficile colpa della schiavitù della quale sembra riscattarne il peccato
instaurando con lo schiavo un rapporto 'ecologicamente' emancipato.
Nel quale nutre per lo schiavo un rapporto di colpa che lo spinge a per-
mettere il suo graduale inserimento nella comunità dei piccoli proprietari.
Se confrontato lo stesso senso di colpa con l'acume di un Tacqueville, si
noteranno le stesse differenze e simmetrie che corrono fra Bridges il re-
verendo,... e Cook lo scienziato.
Tocqueville, ad una attenta e minuziosa osservazione fra il rosso ed il
nero, cioè fra il negro importato schiavo, ed il libero indiano, ci offre in
merito al primo una descrizione che oserei definire razzista progressista.
Piange le sorti del negro e ne canta, peggio di un colono, i suoi limiti;
parla del rosso e libero indiano, e ne evidenzia la sua uguale sottomis-
sione, forse dimenticando gli innumerevoli anni di colonizzazione fran-
cese, quando astenendosi da qualsiasi intervento nelle colonie, con-
dannaro centinai di indiani alla morte.
Però, ciò che colpisce nella definizione del nero, è il freddo formalismo
scientifico che lo colloca ad un gradino più in basso dello stesso suo
consimile il quale è chiamato a condividere ugual disgrazia: l'indiano;
e di conseguenza e involontariamente pone l'illuminato suo giudizio
ad un gradino più in basso del colono per il quale manifesta diffusa
antipatia....
Forse trascurando quel reale problema di coscienza che così bene
saprà rilevare lo scrittore, non scienziato.
Il peccato, il problema, la colpa che si possono leggere nelle bellis-
sime pagine di Faulkner. Ebbene, pur il primo, Tacqueville, un illu-
minista affine alla rivoluzione francese, ed il secondo discendente
da una famiglia di coloni, come altri negli stessi luoghi, si è portati
a scorgere più umanità là dove abbiamo sempre pensato non ve
ne fosse.
Dilemmi e conflitti di coscienza, che sfociano in odio e amore.
Che sfociano in crisi esistenziali riflessi nell'Universo dell'intera esi-
stenza e per tutta la durata di questa.
Ecco quindi il confronto fra ricercatore e colono, nativo e pioniere;
fra lo scienziato e colui il quale invece ha cercato di apportare una
propria coltura confrontandola e 'barrattandola' non solo come mer-
ce ma anche come pensiero con le stesse 'specie' studiate, che noi
solitamente chiamiamo nativi.
Il dilemma è lo stesso dell'ecologia dei primordi.
Come porsi in riferimento a questa neonata materia, quando questa
era in fase embrione. Si intuì che il problema delle specie viventi ed
il loro ambiente comportava una visuale di studio che per essere at-
tendibile e valida sotto ogni punto di vista, per i risultati che voleva
e vuole raggiungere, deve essere innanzitutto obiettiva e specifica,
non trascurando, cioè, tutti quei fenomeni che ne potrebbero limita-
re la visione per il suo fine.
Questo è lo sforzo unito ad una considerazione o meglio un'analisi
corretta del primato scientifico che si prefigge una disciplina evoluta.
In merito a questa stessa evoluzione, ed in merito a queste stesse
considerazioni, mi è parso doveroso riscontrare e applicare uguali
principi 'formali' ad il problema che abbiamo sollevato nel principio
della presente, anzi l'intero motivo della presente.
Cook  lo scienziato...., ed Bridges il colono ...reverendo......
(prosegue......)
(Giuliano Lazzari per Pietro Autier...)









          

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