giuliano

domenica 1 giugno 2014

INQUISITORI (sosta a Roma) (2)















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Son re di una diversa dinastia
con il compito di conservare...
memoria:
è dono di gloria
privata della cattiva coscienza
assente alla vera parola....
.. perché son padrone della storia.

Inquisitore dell'eretica parola
ogni sera e ogni mattina,
come una Natura per sempre
sconosciuta,
da noi nominata solo Eresia.
Non conosce parola e scrittura,
ricchezza infinita della mia dinastia.
Cognome composto e celebrato
su ogni libro di questo grande Creato.
Narrano di un mondo senza peccato,
letto custodito e interpretato
nella grande biblioteca
vicino al sagrato.
E da noi sempre celato
per questa Genesi satura
di ogni innominato peccato.
Cui noi accogliamo l'anima malata
entro la sicura ortodossia,
e curata nella vera parola
prigioniera della loro strana
menzogna..., 
chiusa nell'eterno peccato.
Che non sia mai narrato
per questo sagrato!
Dopo l'immensa sacrestia
che arreda la grande storia
della sacra Dottrina.
(G. Lazzari, Frammenti in Rima,
Dialogo con il nobile che vende parola,
Fr. 15/4; 15/5)






Quando giunse a Roma alla vigilia di Natale del 1550, era stato preceduto dalla
fama del coraggio e dell'intransigenza con cui aveva esercitato l'ufficio di inquisi-
tore: aveva affrontato i pericoli di aggressione da parte degli eretici nel paese dei
Grigioni, era stato preso a sassate e salvato a stento dal suo protettore Bernardo
Odescalchi.
La stessa dura e fanatica determinazione doveva mostrarla nell'inchiesta che, co-
me inquisitore a Bergamo, condusse contro il vescovo Vittore Soranzo: solo con
l'aiuto di chi gli mise a disposizione un cavallo per fuggire gli permise di salvare la
vita.
Furono queste qualità che impressionarono Gian Piero Carafa: e per questo intro-
dusse il Ghislieri nella sua 'familia' e, appena diventato papa, gli conferì la diocesi
di Nepi e Sutri per farlo diventare subito cardinale e Grande Inquisitore.






Lo stile di fra Michele Ghislieri è scolpito nelle frasi del suo epistolario d'ufficio:
dure e determinate, senza incertezze, ritratto di un uomo che aveva un feroce
senso del dovere e non tollerava compromessi.
Si legga questa, che fu mandata all'inquisitore di Bergamo il 30 novembre 1555:

Reverendo Padre, non so che fede io possa dar al scriver di V.R.P. havendomi
voi più fiate scritto che voi ritrovati quelli magnifici rettori et il r. Vicario tanto 
favorevoli, et dall'altro canto mi scrivete haver condannato Lazarino d'Ardesio
heretico relapso alla galea per tre anni.... Non so ove V.P.R. habbia autorità di
poter formare tal sententia et quanto sia convenevole con li sacri canoni. Chi vi
ha dato autorità a voi di perdonare a un relapso, il che non ha mai voluto far la
Sedia Apostolica, né questo ss. mo tribunale ha autthorità di poterlo fare?






E se questo era avvenuto per volontà dei rettori veneti, allora 'loro sono inqui-
sitori et voi testimonio'.
Se era così, la conclusione era una sola: 'Questo officio non fa per V.R.tia et
per discarico della coscientia vostra meglio sarà che scriviati alli superiori che
lì provedano di un altro, perché altramente gli sarà provisto di qua'.
Non bastava: secondo lo stile dell'Inquisizione, la 'colpa' giuridica era anche pec-
 cato morale. L'inquisitore di Bergamo era invitato dal Ghislieri a esaminare la
propria coscienza, perché se veramente aveva emesso una sentenza ingiusta
per 'compiacer' alle autorità veneziane, allora era incorso anche nella scomunica.
Ci è rimasto un dossier epistolare del Ghislieri, quello dei dispacci da lui mandati
all'inquisitore di Genova. A scorrerlo, si ha una vivida impressione dello stile dell'-
uomo.
Vi troviamo ordini dettagliati, precisissimi, sul da farsi coi singoli rei: dalla tortura
alla trasmissione dei fascicoli processuali, gli aspetti della procedura sono trattati
con grande nitidezza. Ma non si tratta di definizioni astratte: le regole generali che
si possono raccogliere da queste lettere sono poche.
Solo quelle fondamentali: per esempio, che l'inquisitore deve investigare solo in
questioni di sospetta eresia. Quel che emerge, è il lavoro da fare sul terreno così
nettamente delimitato: e il lavoro d'ogni giorno è quello duro e odioso dello sbirro.
Bisogna cavare la verità dai testimoni, con le minacce:






'Ben li avertisca che venghino, perché se saranno retrovati in bugia saranno ca-
stigati più aspramente che se fussero heretici; et hoggi si fa fustigare qua in
Roma un fra Gio. Antonio da Faenza del ordine de Servi per haver deposto il
falso contro d'un frate della religione sua'.
Chi non ascoltava gli inviti degli inquisitori, va punito, anzi 'merita ogni male';
e se c'è qualcuno che si vanta di aver 'gabbato l'Offitio', Ghislieri vuole avere
precise testimonianze del fatto 'perché daria opera che altre volte non havesse
da gloriarsi'.
L''Offitio' è , come deve essere (la sua 'cultura', come vedremo in seguito, è ma-
turata e profondamente penetrata anche in quel mondo laico e anticlericale che
ne pensiamo immune..., quale codice genetico di una... 'certa civiltà'...), in cima
a tutti i pensieri dell'inquisitore: 'Attendiamo pur a servir il Signor Iddio in questo
santo Offitio non stimando calunnie perché conviene presupponer chi entra in
questo Offitio di farsi odioso al mondo; ma tanto quanto il mondo ne ha in odio
tanto il Signor Iddio harà risguardo de noi et saremo da lui per sempre amati'.
(A. Prosperi, Tribunali della coscienza)














   

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