giuliano

giovedì 12 dicembre 2013

AMMAZZARE IL TEMPO: la coscienza (29)


































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....Infine in grado di simulare l’intelligenza anche in assenza di una forma di coscienza, potrebbe essere considerato insoddisfacente definire il termine ‘intelligenza’ in un modo che non includa una tale intelligenza simulata. In tal caso il problema dell’ ‘intelligenza’ non mi interesserebbe qui. Quello che, mi sta a cuore è infatti primariamente il problema della ‘coscienza’.
Quando affermo la mia convinzione che la vera intelligenza richieda la coscienza, sto suggerendo implicitamente (non credendo alla tesi dell’IA forte che la semplice esecuzione di un algoritmo possa suscitare la coscienza) che l’intelligenza non possa essere simulata propriamente da mezzi algoritmici, ossia da un computer, nel senso in cui usiamo il termine oggi. Passiamo ora a considerare il problema se ci sia una distinzione operazionale fra un qualcosa che sia cosciente e un qualcosa altrimenti ‘equivalente’ che non lo sia.
La coscienza, qualora fosse presente in un oggetto, rivelerebbe sempre la sua presenza? Mi piacerebbe pensare che la risposta a questa domanda fosse necessariamente ‘sì’. La mia fede in questo fatto non è però affatto incoraggiata dalla totale mancanza di consenso su dove si trovi la coscienza nel regno animale.




Alcuni non ammettono che la coscienza possa esistere negli animali, mentre altri sarebbero disposti ad attribuire la coscienza a un insetto, a un verme o forse perfino a una pietra! Quanto a me, ho forti dubbi su un verme o un insetto – per non parlare di una pietra -, ma i mammiferi, in generale, mi danno l’impressione di una genuina consapevolezza.
Da questa mancanza di consenso dobbiamo inferire, quanto meno, che non ci sia un criterio universalmente accettato per la manifestazione della coscienza….
Consideriamo, ora, lo spietato processo della selezione naturale, consideriamo questo processo alla luce del fatto che, come abbiamo visto non tutta l’attività cerebrale è direttamente accessibile alla coscienza. In effetti, una fra le strutture encefaliche più ‘antiche’, il cervelletto – con la sua grande superiorità nella densità locale dei neuroni – sembra eseguire azioni molto complesse senza che in esse sia direttamente implicata la coscienza. Eppure la natura ha deciso di sviluppare esseri pensanti come noi, anziché accontentarsi di esseri in grado di comportarsi sotto la direzione di meccanismi di controllo del tutto inconsci.




Se la coscienza non serve a nessun fine selettivo, perché la natura si è data la pena di sviluppare cervelli ‘coscienti’ quando cervelli ‘automi’ non pensanti, come il cervelletto, avrebbero potuto cavarsela altrettanto bene? Inoltre, c’è un semplice ragionamento di base che ci induce a credere che la coscienza debba avere un qualche effetto attivo, anche se questo effetto non conferisce un vantaggio selettivo.
Perché, infatti, esseri come noi stessi dovrebbero a volte essere turbati – specialmente quando sono sondati sull’argomento – da domande sul proprio ‘io’?  E’ difficile immaginare che un automa del tutto inconscio debba sprecare il suo tempo in tali cose. Poiché gli esseri coscienti, d’altra parte, sembrano effettivamente agire di tanto in tanto in tale strana maniera, essi si comportano in un modo che è diverso da quello in cui si comporterebbero se non fossero coscienti, cosicché la coscienza ha un qualche effetto attivo!
Ovviamente non ci sarebbe alcuna difficoltà a programmare deliberatamente un computer perché sembrasse comportarsi in un modo così ridicolo (per esempio, come spesso mi capita assistere, lo si potrebbe programmare per farlo andare in giro a borbottare: ‘Qual è, di grazia, il significato della vita? Perché noi esistiamo e ripetiamo parole tutte uguali? E che cos’è mai quest’ ‘io’ che sento… o debbo nominare?’).




Ma perché la selezione naturale dovrebbe darsi la pena di favorire una tale razza di individui, quando senza dubbio il libero mercato della giungla avrebbe dovuto estirpare tali assurdità inutili già da molto tempo?
Mi pare chiaro che le (serie) riflessioni e i (seri) borbottamenti in cui indulgiamo quando diventiamo filosofi (anche solo temporaneamente) non sono cose che siano scelte per il loro valore intrinseco, ma siamo il ‘bagaglio’ necessario (dal punto di vista della selezione naturale) che dev’essere portato da esseri che di fatto sono coscienti, e la cui coscienza è stata selezionata dalla selezione naturale, ma per una qualche ragione del tutto diversa e presumibilmente molto valida. 
E’ un bagaglio che non troppo dannoso e viene sopportato facilmente dalle forze indomite della selezione naturale. A volte magari nei periodi di pace e prosperità di cui gode talvolta la nostra fortuna specie, grazie ai quali non dobbiamo preoccuparci sempre di lottare per la sopravvivenza con gli elementi (o con i nostri simili), possiamo cominciare a rivolgerci domande sui tesori contenuti nel nostro bagaglio. E’ quando vediamo altri comportarsi in questo strano modo filosofico che ci convinciamo di avere a che fare con individui, diversi da noi, i quali hanno anch’essi una mente.….




 Io suggerisco perciò che, mentre le azioni inconsce del cervello sono quelle che procedono secondo processi algoritmici, l’azione della coscienza sia del tutto diversa, e proceda in un modo che non può essere descritto da alcun algoritmo.
E’, infatti, una curiosa ironia che le idee che sto proponendo qui rappresentino quasi un ribaltamento di alcune altre che ho udito frequentemente. Spesso si sostiene che è la mente cosciente a comportarsi nel modo ‘razionale’ che si può capire, mentre è la mente inconscia e essere misteriosa. Coloro che lavorano nel campo dell’IA sostengono che, non appena si è in grado di capire coscientemente una qualche linea di pensiero, si è anche in grado di farla eseguire da un computer; sono i misteriosi processi inconsci che non si sa (ancora!) come affrontare.




La mia linea di ragionamento è stata che i processi inconsci potrebbero essere benissimo essere algoritmici, ma a un livello molto complicato, che è mostruosamente difficile sbrogliare nei particolari. Anche il pensiero del tutto cosciente che può essere razionalizzato come qualcosa di algoritmico, ma a un livello del tutto diverso.  
Non stiamo pensando ora al funzionamento interno ma alla manipolazione di interi pensieri. A volte questa manipolazione di pensieri ha un carattere algoritmico (come nel caso della logica primitiva: gli antichi sillogismi greci, quali furono formalizzati da Aristotele, o la logica simbolica del matematico George Boole), altre volte no (come nel caso del Teorema di Godel…).
La formazione del giudizio, che sto sostenendo essere il contrassegno della coscienza, è di per sé qualcosa che gli studiosi dell’IA non avrebbero alcuna idea di come programmare al computer……  

 (R. Penrrose, La mente nuova dell’Imperatore)

(Fotografie di: Ole Salomonsen)
















   

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