giuliano

sabato 7 marzo 2015

AMMAZZARE IL TEMPO (meccanicismo e finalismo) (17)

















































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….Ma in fondo poco importa, poiché essendo allo stesso tempo inevitabile e utile, il meccanicismo radicale l’avrà sempre vinta presso gli scienziati; essi continueranno a professare molto tempo dopo che avranno finito di crederci.
Poiché ha lasciato libero lo spazio un tempo occupato dalla forma, Bergson non ha fatto nulla di efficace per demolirlo. Eppure è lui che ha aperto la strada a un rinnovamento del finalismo.
La sua straordinaria incomprensione della vera natura dell’intelletto, in cui egli si ostinava a non vedere altro che la facoltà d’associare il simile al simile, di percepire e anche di produrre delle ripetizioni – insomma, una macchina calcolatrice – l’ha portato a situare altrove l’origine dell’invenzione, della creazione, di tutto ciò per cui la soluzione di un problema supera la pura somma dei suoi dati.





Egli l’attribuì quindi alla vaga entità che chiamò la Vita e che vedeva all’opera dal basso della scala degli esseri viventi, fino all’uomo. Riflettendoci, vide che ci sono delle attività umane in un certo senso artigianali, dunque analoghe a quelle che Aristotele citava come modelli di finalità, ma più nobili della fabbricazione di un letto, e per ciò anche più capaci di raffigurare una creatività simile a quella della vita. 
La creazione artistica offriva alla sua riflessione il modello desiderato. L’atto libero offriva un modello non meno soddisfacente, ma la creazione artistica è un atto libero la cui struttura e i cui effetti sono più visibili e più facili da osservare.
Si chiederebbe invano a Bergson di rinnegare ciò che egli considerava l’anima della sua dialettica, l’incapacità dell’intelligenza di creare cose nuove; il suo ambito naturale è la geometria. Lo spirito può muoversi in due direzioni opposte, e conseguentemente generare nel suo procedere due ordini opposti: uno, derivando da una sorta di allentamento della sua tensione naturale, lo conduce ‘all’estensione, alla determinazione reciproca necessaria degli elementi gli uni rispetto agli altri, in ultima analisi al meccanicismo geometrico’.




L’altro, che Bergson considera la sua ‘direzione  naturale’, è al contrario ‘il progresso sotto forma di tensione, la creazione continua (che nulla ha in comune  con l’arte della vita)’.
Dovendo collocare la finalità quale egli l’ha concepita, Bergson doveva inevitabilmente aggiudicarla alla direzione definita dell’intelligenza, che è quella della determinazione necessaria, della ripetizione, dell’automatismo.
E che dire della tensione creatrice in rapporto all’ordine?
In una frase curiosa, che tradisce forse un certo imbarazzo, Bergson dice di quest’ordine che esso ‘oscilla senza dubbio intorno alla finalità: non si può tuttavia identificarlo con essa, perché a volte ne al di sopra e a volte al di sotto’ E’ in particolar modo nelle sue forme più elevate, l’atto libero o l’opera d’arte, che è al di sopra della finalità, poiché esse manifestano l’ordine perfetto caratteristico del rapporto dei mezzi ai fini, e tuttavia non le si può analizzare in termini di mezzi e di fini che quando l’atto sia compiuto o l’opera realizzata.
In una dottrina in cui il finalismo non è che meccanicismo rovesciato, tutto ciò che supera il meccanicismo supera il finalismo. Allora, diremo anche noi che il finalismo supera sempre il meccanicismo, almeno in quanto stabiliscono o implica l’ordine a cui lo sottopone.




Tutto è meccanico in una macchina, tranne l’idea di costruirla che ne ha ispirato il progetto. Osiamo appena criticare le pagine luminose, traslucide, in cui ‘l’Evoluzione creatrice’ sviluppa idee ritenute assolutamente certe, nutrite di ogni tipo di verità, e tuttavia dominate da una sorta di manicheismo metafisico in cui l’intelligenza, implicando il finalismo, è condannata all’ambito della geometria e del male. Eppure, si chiederebbe invano a chiunque non sia Bergson la descrizione perfetta di una intelligenza che crea il finalismo e l’ordine che la sua opera esige. Cerchiamo dunque di risalire dall’estensione alla tensione:

“Ogni opera che racchiuda una parte d’invenzione, ogni atto volontario che racchiuda una parte di volontà, ogni movimento di un organismo che manifesti una spontaneità, porta qualcosa di nuovo nel mondo. Non sono, è vero, se non reazioni di forma: e come potrebbero essere altro? Noi non siamo la stessa corrente vitale; siamo questa corrente caricatasi già di materia, cioè di parti raggelate dalla sua sostanza, che essa scarica lungo il percorso. Per quanto noi, nel comporre un’opera geniale o nel prendere con libertà la più semplice decisione, tendiamo al massimo la molla della nostra attività, e creiamo qualcosa che una composizione pura e semplice di materiali non avrebbe potuto dare, non mancano tuttavia, anche qui, elementi che preesistono e sopravvivono alla loro organizzazione”.




Cosa si può opporre a questa analisi?

Nulla che non sia ciò che hanno di gratuito l’attribuzione della creazione alla Vita e l’esclusione dell’intelligenza che essa suppone. Bergson ha ragione, ‘noi cogliamo dal di dentro, noi viviamo in ogni istante una creazione di forma’, e questa creazione di forma ‘è un semplice atto di spirito’, che pone nell’essere contemporaneamente la forma, la materia e l’ordine di questa materia che ne fa poesia. Ma questa meraviglia si realizza in noi solo perché in noi la Vita è intelligenza. C’è vita ovunque intorno a noi, e un poeta potrebbe dire che l’albero è poesia, ma non lo scrive. Bergson, che pure la conosceva così bene, si perde per una volta sulla via discendente delle ipostasi plotiniane, mettendo la Vita al di sopra dell’Intelletto, figlio primogenito dell’Uno. 
Ma se l’intelligenza è in noi l’estrema punta d’avanguardia della vita nella scala degli esseri conosciuti, è attraverso essa che bisogna concepire la vita e non il contrario.Non c’è una ragione creatrice, ma c’è una intelligenza creatrice. E’ questa intelligenza che s’incarna nel linguaggio, da cui crea le forme, comprese quelle delle poesie, strutture verbali in cui il poeta crea contemporaneamente la forma, la materia e la finalità che impone la struttura.
Questo lavoro di crazione non è necessariamente cosciente; la testimonianza dei poeti invita a pensare che non lo sia, per la maggior parte almeno, ma non è un motivo per escluderlo dall’intelligenza. La molla del finalismo naturale ci sfugge; ciò che le assomiglia di più è il potere creatore dell’intelletto; non è dunque assurdo, è anzi ragionevole concepire la causa della finalità come affine all’intelligenza.E’ vero che non si tratta di una proposizione scientifica, ma non lo è neanche la sua negazione, e non sarebbe giusto, per rispetto alla scienza, negare un aspetto così importante della realtà. 

 (E. Gilson, Biofilosofia....)




(Dalla presente disquisizione, prendiamo atto, visto i risultati conseguiti dalla scienza del clima (e non solo tale 'disciplina' e riproponendo questo Post in riferimento al precedente 'oggettivare il male' e di conseguenze estendendo ed altresì motivando le ragioni del 'male'; dove si è stabilito attraverso attenti e curati (nonché attendibili..) monitoraggi dei climi passati, di un persistente ed accentuato squilibrio in-volutivo, causato dall’uomo, e da tutte le ragioni del progresso, specchio della sua (presunta) ‘Intelligenza’ evoluta sulle cose animate e non...., quindi 'oggettiviamo ed estendiamo ulteriormente i motivi e le cause finali del 'male' cioè di nuovo: 'oggettiviamo' il male.)
La presente ‘dialettica’ specchio di un pensiero filosofico di importanza notevole fra due ‘giganti’ in un dibattito fra scienza e fede, va riflessa nella realtà dei dati odierni, come l’involuzione climatica accennata. Se pur Bergson, riletto dall’occhio di Gilson, che certo sappiamo non essere una mente isolata: un occhio staccato dal complesso apparato visivo di cui si nutre la filosofia e la teologia, confrontate con la scienza moderna, ma bensì preciso e attento nelle analisi verso l'avversione ad ogni forma di radicalismo, sia esso finalismo o il suo opposto, meccanicismo, frutto di una formazione ‘scolastica’ non certo eterodossa, offre una chiave di lettura del non facile pensiero di Bergson, chiave di lettura equilibrata e accorta nelle presunte contraddizioni rilevate. Contraddizioni, che lette oggi, appaiono a favore del radicalismo criticato di Bergson. Quindi, a maggior ragione, il presente confronto prende ampia consistenza di una 'inattesa attualità', pur sapendo che ambedue gli scritti sono certamente datati, rispetto al progresso raggiunto nell’ultimo mezzo secolo.




Il presente dibattito prende consistenza forma ed immagine, dando per attuale una rilettura appropriata dell’Evoluzione Creatrice, cogliendone tutte quelle improprietà riflesse sia nel mondo della filosofia che in quello scientifico e cogliendo, altresì, tutte quelle sfumature nel difficile dibattito fra finalismo e meccanicismo. In questa ‘duplice’ chiave di lettura, Gilson(niana) e Bergson(niana) sappiamo l’uomo, nella totalità delle sue manifestazioni ‘Intelligenti’ ed ‘Evolute’ degli ultimi 200 anni (due secoli…), minuscoli frammenti di storia, Secondi riflessi nelle ore del Tempo; aver irrimediabilmente minato distrutto ed estinto la Prima Materia (creata o non…) sinonimo della Vita (privata della forma nominata Intelligenza…) in un principio ‘manicheo’ dove i presupposti sono rovesciati (come negli odierni concetti di Natura e progresso…) nella loro originaria condizione. Ciò che pensiamo ‘male’ nella sua condizione apparentemente assente o priva di intelligenza (o ciò che pensiamo tale…), quindi oggetto e mira di quel progresso di indiscusso dominio da parte dell’uomo (sia su motivazione divine e non…), in quanto tale, portatore della vita e principio attivo dell’intelligenza incarnata (disegno divino e non…), contro tutte le ragioni dell’istinto o della materia bruta; ed il ‘bene primo’ della nostra ‘apparente’ condizione di superiorità rispetto a chi privo del dono dell’Intelligenza. Noteremo che i risultati di questo rovesciamento giocano a favore di quella ‘Intelligenza’ forma e visione della presente disquisizione filosofica, dovendo porre i dovuti accenti sul concetto stesso di intelligenza, soprattutto oggi riflesso nei moderni concetti ‘progrediti’ ed ‘evoluti’, dove la bio-filofia ha abdicato il proprio pensiero a favore dell' 'intelligenza artificiale', e dove, se pur il ‘programmatore’ è e rimane l’uomo, la macchina sembra la naturale sua ‘finalità meccanicistica’ quindi portata e motivata verso quelle forme finaliste e meccaniciste di vita e società, traguardo di quel meccanicismo radicale a cui è bene opporre il concetto Primo di Vita insito nel suo contrario: quel Finalismo radicale di cui essa è motore e Principio sapendo cogliere non la negazione Bergson(niana) dell’Intelligenza, ma il principio primo della Vita quale Prima e vera… Intelligenza…)


(Curatore del Blog…)   














  

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