giuliano

mercoledì 1 luglio 2015

AMMAZZARE IL TEMPO: verità scientifica e verità ideologica (39)

















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Ammazzare il Tempo: verità scientifica e verità ideologica (ovvero il regime velato) (38)

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‘Io credo – rispose il notaio – che il S. Officio proceda contro li Heretici, et per stregarie et altri mallefitii’. E qui l’inquisitore dovette abbandonare per un attimo la via delle domande, per precisare e informare: il raggio d’azione del Sant’Uffizio era molto più ampio; riguardava anche i blasfemi, i superstiziosi, i possessori o i lettori nonché gli scrittori di libri proibiti, uguagliandoli a coloro che mangiavano carne nei giorni proibiti: dicesse dunque se conosceva qualche persona in quelle condizioni o se aveva egli stesso libri proibiti (averli.. figuriamoci… scriverli…).
Arbitrio segretezza intimidazione e mistero: questi i caratteri che una lunga tradizione ha legato ai processi dell’inquisizione condizionando un’intera cultura e la successiva sua stratificazione storica e scientifica.
Prigioniero di un tetro carcere e soprattutto di regole ignote, il ‘reo’ è il modello dell’uomo posto nella condizione della incertezza totale, di sé e del mondo (se visto dall’esterno appare un meschino teatro dell’assurdo di Kafkiana memoria…). Il sogno del prigioniero è fatto di luce e di libertà: gli scritti di Tommaso Campanella, un uomo che visse una tremenda esperienza carceraria, sono dominati dal tema della luce solare.




Ma l’oscurità delle regole (per chi non ha regola..), più ancora di quella materiale delle segrete, domina il mondo storiografico dell’Inquisizione, la sua immagine vulgata. E’ un’immagine che ben merita di esser definita ‘Kafkiana’: e l’atmosfera diffusa dalla letteratura romanzesca intorno al processo dell’Inquisizione è quella oscura, inquietante, mista di arbitrio e di burocrazia pedanteria e vigliaccheria che si riassume in quell’aggettivo.
Si assume, in sostanza, che il tribunale ecclesiastico operasse coprendo col segreto ogni arbitrio e ponendo i ‘rei’ davanti al fatto compiuto, lasciandoli annaspare senza punti di riferimento.
‘Questo segreto è l’anima del sistema inquisitoriale’: lo ha detto Juan Antonio Llorente, uno che se ne intendeva. Secondo l’ex segretario dell’inquisizione spagnola, senza il segreto non ci sarebbero stati l’arbitrio, il fanatismo, lo scatenarsi delle passioni personali dei giudici, e neppure il furore del popolo…
Bisognerà distinguere intanto i due aspetti del problema, la segretezza delle procedure inquisitoriali e l’ignoranza soggettiva dell’imputato (ma non da meno, è importante rilevare, dei delatori di volta in volta costretti dal Regime di tal metodo acquisito e così servito), una norma pratica a tutelare i testimoni dalla vendetta degli accusati; c’era poi la necessità di un’azione efficace e la pubblicità era pericolosa. Dunque, bisognava operare per evitare le conseguenze pericolose della pubblicità, se si voleva estirpare la mala pianta dell’eresia.




Ma se non c’era pericolo, l’inquisitore o il vescovo potevano pubblicare i nomi dei testimoni: questo era quanto stabilito, ad esempio, da Bonifacio VIII e registrato da Nicolau Eymeric. Tuttavia, già alla fine del Quattrocento si era affermata la prassi di imporre il segreto sotto pena di scomunica sia ai testimoni sia ai periti di cui si chiedeva il parere: e Francisco Pena, annotando il manuale di Eymeric nell’edizione romana del 1578 registrava l’incontrastata vittoria della prassi del silenzio e del segreto.
Era una svolta importante nella storia stratigrafica sociale, che doveva segnare la vita dell’istituzione e la sua immagine: il segreto, associandosi al metodo inquisitorio che metteva nelle mani del giudice l’azione di polizia e la raccolta delle prove a carico, finì col diventare una caratteristica primaria di questo tribunale.
Ne derivano conseguenze di vario genere, di cui basterà ricordare le due più evidenti: la nascita di un sistema carcerario (e non…) inquisitoriale e l’organizzazione di un sistema speciale e segretissimo di archiviazione dei dati raccolti.




Carceri archivi e fascicoli hanno variamente servito a sottrarre persone e informazioni alla libera circolazione (delle idee…): ma quelli dell’inquisizione lo hanno fatto in maniera particolarmente accentuata e rigorosa, fino a diventare – da strumenti accessori e facoltativi – le istituzioni più tipiche di quel tribunale. Caratteristica, da non trascurare, le carceri inquisitoriali dovevano garantire l’isolamento del prigioniero nella fase processuale; e potevano essere usate anche per punire e non solo per custodire qualcuno in attesa di giudicarlo.
In ambedue i casi, l’isolamento dell’eretico era fondamentale: l’imputato – o il condannato – doveva essere isolato dal mondo, per concentrarsi su se stesso e, nella solitudine (molto e fruttuosamente inquisita, perché lo stesso tribunale si incaricava di sottrarre i beni legittimi dell’ignaro reo…) e nell’afflizione, arrivare al pentimento pieno delle sue colpe (colpe che molto spesso l’imputato ignorava, non solo per l’ignoranza detta, sua o dei delatori, ma anche per l’interpretazione che i detti Inquisitori o se preferiamo dotti inquisitori, attribuivano al pensiero dell’eretico per meglio interpretarlo ed inserirlo nella dotta ignoranza specchio del proprio secolo.




Ragione per cui, possiamo rovesciare i termini del discorso in materia di ignoranza e dotta sapienza, come per la pianta custode di un processo di crescita vegetativo, nel post connesso al presente, diverso come per secoli è stato supposto nella fotosintesi e nel nutrimento dai fotoni, ed aggiungere senza nessuno voler offendere nell’eretica nostra condizione, che ‘a tutt’oggi ugual fotoni nutrono la pianta, nel suo processo di sviluppo e crescita, fotoni ed immagini prive di contenuti nel fertile terreno dell’ignoranza coltivata, dove per il vero la terra, intesa come materia... e non come la luce della spirito riflesso in una condizione gnostica di sapere, è nutrimento primo e ragione della loro esistenza’. Con questo assunto, siamo tornati ai titoli della presente: Verità scientifica e… & il regime velato….).

(A. Prosperi, Tribunali della coscienza)

(Fotografie di: Appie Bonis)














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