giuliano

sabato 19 aprile 2014

VIDA NOUA VIDA... (45)









































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L'inchiesta dell'Inquisitore (46)













Il sole di Pentecoste fu determinante. Mentre il capitano scriveva il suo addio al mondo nella cabina di poppa, la neve fondeva sulla costa meridionale del promontorio. Di notte gelò ancora di qualche grado e un gemito morente sfuggì al Minotauro bianco, ma non era nulla in confronto al mugghiare che era risuonato nelle lunghe notti d’inverno quando le spaccature si aprivano da una riva all’altra.
Il vento girò dolcemente a sud, ci furono giorni di nebbia, l’aria si riempì di odore di terra, il ghiaccio si fece vitreo come gli occhi dei marinai morti e quando il sole ricomparve, sfavillò su un paesaggio luccicante di umidità che rinverdiva sotto il cielo limpido.
Porto Munk giaceva abbandonato in mezzo a questo splendore. Non un uomo nei pressi delle due navi ma, man mano che la neve fondeva, affioravano le tracce dell’inverno e ovunque, sul ghiaccio come a terra, spuntavano oggetti dell’equipaggiamento: un barile distrutto, una tela corrosa dall’umidità, un pezzo di cordame, una scarpa, un coltello arrugginito.




Il sole scaldava, pelli e badili sprofondavano nelle pozzanghere che si erano formate sul ghiaccio, in alto, sulla collina, una ridicola slitta piena di legna pareva arenata con i pattini nell’erba. Nuovi stormi di oche selvatiche continuavano a sorvolare il luogo che, dalla loro visuale, doveva apparire come un campo giochi dove i bambini avevano gettato in fretta e furia tutto ciò che avevano in mano per correre in un altro che pareva più allettante…..
Dopo le tempeste dell’inverno il sartiame delle navi pendeva a brandelli, sulla collina l’orso bianco era andato a frugare nelle tombe dei morti. Per tutto il Tempo che era durato il gelo, i cadaveri erano rimasti duri come pietre, ora, però, cominciavano a sciogliersi, non sentivano il calore penetrare i loro corpi, ma era vero, la primavera era arrivata….
Che cosa resta ancora?




La storia non è un prodotto di risultati di vittorie, ma una somma di inizi, un avvicendarsi continuo di famiglie, come le onde, si alzano e si ritirano. Ripartano da niente, rimettono un po’ d’ordine tra le proprie macerie, diventano feudatari e birrai… E si ritirano di nuovo…
Così parla il cronista….
Resta ancora lui…
O giunti a questo punto, dobbiamo rivelare la verità e confessare che non è mai esistito?
Perché no?
Non c’è nulla di strano.
Quando i personaggi sono reali, bisogna pure che l’Autore sia inventato, o meglio che il cronista il povero ed umile cronista di questa e molte altre storie sia una comparsa di Universi ancora vivi….
Cosa resta ancora?




Il mare dimentica le nostre tracce ancora più in fretta della sabbia, che dimentica ancora più in fretta del fango, che dimentica molto più in fretta. Navigare è sognare. Sognare è necessario, vivere no.
Il sogno copre i tre quarti del mondo ed è composto più o meno della stessa soluzione delle lacrime umane. Nel sogno siamo soli, ma mai così soli come a Genova (ove conosco un genovese che lotta e naviga in un mondo di morti che pensano di essere vivi per insegnare loro che quella che costruiscono non è vita, che ciò che edificano non è saggezza, che ciò che legiferano non è … giustizia…).
Nel sogno nulla è vano.
E’ la realtà e essere vana.
E’ lei a consumarsi e a morire….




Per concludere la breve Storia di una vita intera, breve nel fraseggio di questa cronaca, il cronista ed il capitano dividono una qualità in comune: era il 1619, immediatamente prima della sua partenza per la Baia di Hudson, godeva ancora di un certo favore presso il re, aveva ancora la speranza di rifarsi una vita. Jens Munk si era visto assegnare il terreno d’angolo che dà su…. dove Burmeister & Wain nel 1851 edificarono una sala macchine che vi si trova ancora oggi.
Il suo nome figura nel registro del commesso, ed è l’ultima volta che compare nelle fonti dell’epoca. Figura come il numero 19 della lista, ma in questo caso il commesso non ha bisogno di perdere troppo tempo in descrizioni, queste sono le sue uniche parole:

Terreno di Jens Munk, abbandonato, deserto, non costruito…

(T. Hansen, Il capitano Jens Munk)
















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