giuliano

giovedì 12 luglio 2018

IL TEMPO & LA MEMORIA (2)











































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Il Tempo & la Memoria (1)

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Il Tempo & la Memoria (3)














Raccontare la frattura che si preannunciava in quella Chiesa, non è la ‘storia’, ma un evento della nostra geografia. Io in tutta la mia umiltà così ho percepito e visto. Perché non ho mai varcato il sottile confine fra  ciò che va detto e ciò che va taciuto. Questa differenza, questo abito, questo costume da pagliaccio che indosso, ancora mi danno l’onore della vita, se questa può dirsi vita.  Prego anche’ io chino di fronte alla croce, e quando l’alto prelato incrocio, nel silenzio di qualsiasi sermone, abbasso gli occhi e prego per la mia vita e quella del prossimo. Nel lento scorrere della litania, della preghiera, recito la mia parte, la mia ora, il mio giorno, nel divenire del tempo. Nel lento camminare del giardino chino ammiro la vita della foglia che trasuda la sua umidità invernale. Prego lei, fra la sua e la mia litania. In questo girare in tondo, qualche libro abbiamo ‘miniato’ nel segreto della biblioteca e abbiamo nascosto agli sguardi attenti dei fratelli. Così ora anche di giorno riesco a leggere qualcosa della radice della pianta, mia sola compagna, mia sola amica, mia sola anima, di questo Inverno che si preannuncia severo. Ma i primi freddi alle ossa sono il nulla di fronte ai brividi della caverna che scende, fino alle volte insperate di panorami di altri secoli. Quello di cui io ora sono testimone, e di cui spero mai mortificare il mio umile spirito dentro queste carni già sofferenti, è la costanza dell’ Assoluto, divenuto parola attraverso il mio confratello -  Eraclio - . 
Nel lento deambulare e girare attorno noi stessi abbiamo imparato che la sua parola è più della nostra vita, che il suo dire è più della luce che riusciamo a vedere ogni mattina, che il suo pensare è un conversare con Dio, a cui  noi ancora non ci è …. e mai sarà concesso. Il tramite del nostro parlare con la Croce, il miracolo della vita, il nostro mangiare e sopravvivere, è opera di nostro fratello Eraclio. Tutto, con il tempo, abbiamo imparato da lui dipendere. Nel segreto della nostra cella vediamo e preghiamo nostro fratello – Eraclio - . L’uomo che ora io vedo aver preso voce da quella fitta boscaglia dietro l’altare…. e parlare… domandare. E con lui i figli d’altare, a cui spesso confuso nel fitto cerimoniale attorno ad esso, non riusciamo più a dar un nome. Con lui i suoi fratelli e sudditi, i dottori, da cui  – Eraclio -  insegna ed apprende, nel lento fluire del tempo, immobile, di fronte all’assoluto della verità. 
Con lui Vescovi e Cardinali, i medici della nostra anima, dei nostri dolori, custodi delle nostre celle, padroni dei nostri pensieri, seminatori dei nostri sogni, raccoglitori della nostra semenza .  Con lui il lento trasmutare della storia, il lento progredire della scienza Teologica in seno alla verità scientifica. La stagione di una verità scorre attraverso la mutabilità apparente, apparenza del tempo. Lento deambulare in circolo per questo giardino. Questo il nostro camminare, pregare…. e troppo spesso sperare. Nella solitaria quiete dell’ Eremo le stagioni sono ricorrenze da calendario. Sono Messe da celebrare, penitenza da rispettare, comunioni per i nostri visitatori di tutto il feudo, di cui disconosciamo persino i confini.  Sono cornici ed usanze, litanie ripetute fino allo stordimento. Così incorniciamo lo scorrere lento del tempo e con esso la vita che spesso vediamo e ammiriamo da lontano . La vita, per noi, dissidenti cultori della biblioteca, si nasconde in cornici di quadri ammirati da lontano: è profumo di Primavera, spensieratezza di neve, freddo e gelo, e poi i colori assordanti dell’Estate.  Quei quadri li possiamo ammirare e vedere… talvolta…..  Ma ben attenti a non essere visti. Non essere osservati nel nostro lento volare verso altri luoghi.  La nostra – anima - , così ci spiega Eraclio, è la parola donata da nostro Signore, è il mistero del – verbo - , il sacrificio a cui tutti noi ci dobbiamo umiliare, per comprendere, capire… e poi celebrare.  Il nostro – Spirito – , ci insegna , deve perseguire la dura disciplina della penitenza, della severità, del castigo. La nostra – Salvezza – il pregare quell’ anima che un giorno incontrerà la gloria dei cieli. La penitenza della preghiera e la paura del potere Divino, che nostro Signore e Padrone possono su di noi.  La vita, tramanda fratello – Eraclio – , può conoscere solo questa umiliazione, questo castigo, questa eterna penitenza. La luce della preghiera deve penetrare in noi, dall’alto di quella feritoia nella Chiesa, come immagine manifesta di Dio. La prima ed assoluta creazione, la prima sua manifestazione, la prima sostanza. 
Così nel buio della nostra anima, il corpo deve prendere forma e spirito.  Nel nostro pregare nel buio dei nostri patimenti, possiamo sperare solo nella salvezza di quella luce. La prima luce dell’ – Altissimo - . Il creatore di tutte le cose. Quando fratello – Eraclio – parla in codesto modo, ci illumina tutti. Apre ai nostri occhi chiusi la comprensione vera del Mondo, del Creato, dell’ Universo.  Io, e tutti i miei confratelli, dai lontani tempi del seminario, abbiamo compreso la verità tangibile del mondo attraverso la parola di fratello – Eraclio - .  Con i fratelli più anziani abbiamo imparato che la luce della sostanza della materia creata si deve riflettere su tutte le opere che leggiamo, sulle preghiere che recitiamo, sulle pitture che componiamo. Sulle croci che fabbrichiamo. Quelle e solo quelle sono le nostre stagioni, gli sguardi di un desiderio di vita e salvezza. Panorami  di verità. Il resto è vista di un mondo che ci è proibito vedere, ammirare, contemplare. E’ solo l’immagine di quel Dio di cui i nostri occhi debbono celebrare in eterno la sua venuta, la sua figura, il suo martirio.  Gli occhi  di quel Dio riflessi nella sua sostanza, nell’ icona, e sacrificati per sempre alla sua opera creata. Ma con il tempo l’ opera creata ha mosso i nostri animi, gli spiriti, la segreta volontà non del tutto assopita della conoscenza. Nella rigida regola dell’ Eremo, ci è concesso celebrare il – Verbo – incarnato in diversa maniera. In questo fratello – Eraclio - , ci ha sempre stimolato, insegnato, e poi comandato.
Nella regola del quotidiano vivere orologio del  tempo, oltre alle tre funzioni giornaliere, abbiamo la possibilità di prestare la nostra ignoranza alla – Sacra – conoscenza.  La biblioteca diviene spesso il nostro rifugio. Diviene la fuga, lo sguardo, la vista. La voglia di vivere dinnanzi ad una non manifesta cecità.  In quanto, pur ciechi, tutti noi, almeno quando prestiamo attenzione alle scritture, sembriamo vedere. 
Ma dalla cecità, in realtà troppo spesso passiamo solo ad una forte miopia.  Raramente ci è concessa la vista.  Quando io , ed altri miei fratelli vi riusciamo, cerchiamo di nascosto a fratello – Eraclio – di coniugare la luce interiore con quella esteriore....

(Prosegue....)




















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