giuliano

venerdì 30 gennaio 2015

I NOSTRI PRIMI SOGNI I NOSTRI PRIMI PENSIERI (11)



















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I nostri primi sogni i nostri primi pensieri (10)

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Vorrei accennare ora alla versione meno presuntuosa che i fisici danno della ‘vanagloria del presente’. Si chiama ‘principio antropico’ e afferma  che le leggi stesse della fisica, o le costanti fondamentali dell’universo, sono un artificio sottilmente regolato, finalizzato alla nascita della specie umana. Il principio antropico non si basa necessariamente sulla vanità e non significa necessariamente che l’universo sia stato creato apposta perché nascessimo noi; significa solo che noi siamo qui e che non potremmo esserci in un universo che non avesse la capacità di produrci. Come osservano i fisici, non è un caso che vediamo le stelle in cielo, perché le stelle sono una parte indispensabile di qualsiasi universo capace di generarci. Questo, ripeto, non significa che le stelle esistano apposta per produrre noi, ma solo che, senza di esse, nel sistema periodico degli elementi non ci sarebbero atomi più pesanti del litio e una chimica di tre soli elementi sarebbe troppo misera per sostenere la vita. La visione è un tipo di attività che può esplicarsi solo in un universo in cui si vedano le stelle. Occorre però aggiungere qualche osservazione. Ammesso il fatto banale affinché gli uomini appaiano occorrono leggi fisiche e costanti capaci di produrli, può sembrare ugualmente improbabile che queste regole così potenti esistano. E se i fisici, basandosi sui loro assunti, calcolassero che il numero di tutti gli universi possibili è di gran lunga più elevato del numero degli universi le cui leggi e costanti permettono alla fisica di trasformarsi grazie alle stelle in chimica e grazie ai pianeti in biologia? Per qualcuno, l’alta improbabilità dell’evento significa una sola cosa: le leggi e le costanti sono state deliberatamente decise  ‘ab initio’ (anche se mi chiedo sempre come si possa considerarla una spiegazione plausibile dei fenomeni, visto che il problema viene immediatamente rimandato a quello più vasto di spiegare l’esistenza dell’altrettanto sottile e improbabile Programmatore).

(R. Dawkins,  Il racconto dell’antenato)




… Quando si dice sono tornato acqua, vento, fuoco, terra, è perché l’essenza dell’essere sembra sgretolarsi verso queste primi elementi di materia di cui siamo composti per poi tornare alle sue essenziali forme e caratteristiche. Così posso dire di aver raggiunto un livello di simmetria con gli elementi esterni, dai più bassi ai più alti nella scala della loro percezione, nei quali si palesa una reale sincronia di un orologio biologico quasi perfetto nel meccanismo dettato dall’evoluzione del tempo.
Siamo abituati a sezionare per gradi ed epoche, nel fare questa operazione che riproduco o cerco di riprodurre su questi fogli, mi sono addentrato sino agli aspetti meno visibili della materia, trascurando invece tutti i nessi della vita. Questo è un fatto importante, se prima ed ora, l’insieme di ogni singolo aspetto nella dimensione più spettacolare della manifestazione sensibile mi trasporta ad uno stato d’animo elevato, ora, quella lingua spirituale è ‘prima lingua’.
La lingua del ‘Programmatore’, perché lingua primordiale.
La lingua con la quale componevamo i suoni della natura circostante, cantavamo stupori e paure, i piaceri nelle stagioni alterne dell’intero creato. Ma dar forma ai motivi di alcune esaltazioni linguistiche nelle varie espressioni che le caratterizzano non è solo evidenziare gli aspetti che l’occhio spirito dell’anima percepisce e poi descrive, ma è anche veleggiare lungo percorsi e stati d’animo dove la coscienza sembra farsi più antica.  Dove oltre alla meraviglia si aggiunge un altro grado di percezione inconsapevole che mi porta ad una regressione ed esaltazione nello stesso tempo (scorgiamo altresì la filosofia dell’alpinista). Perché il salire, l’arrampicare, l’elevarsi per guardare dall’alto le cose del basso, e le nostre condizioni in quel basso o piccolo che scorgiamo a mano a mano che saliamo, è in realtà un procedere all’opposto rispetto al cammino che si compie.
Non si sale, ma si scende verso i nostri antenati, si toccano le rocce che ci sono appartenute nella lenta formazione della terra, e più si fanno antiche, più noi  simmetricamente regrediamo alla pura forma di condizioni geometriche semplici che stabilisce la matematica dell’Universo.
Vuoti di pensieri nel momento della fatica.
Ritorno all’antico ordine di forme semplici, fin tanto che, nella cima, sono di nuovo in quel primo Oceano, dove l’Uno è divenuto il ‘tutto’ che lo circonda, in attesa di moltiplicarsi nel ‘tutto’ che da lui si genera. Studiare le sensazioni dell’alpinista oltre allo spirito dell’avventura della scoperta, della sfida e della conquista, è respirare con lui, e cogliere in questa percezione della realtà un diverso aspetto della sua dimensione, e con essa l’anima e la coscienza. Nel momento in cui si appresta a questa discesa verso i primordi della vita. Non dobbiamo considerare la percezione ottenuta e descritta quale unica entità psicologica legata al concetto proprio di salita, la natura si nasconde di nuovo e con essa (una nuova) la verità, la discesa lenta e graduale verso il primo sé antico e imperscrutabile dei tanti sentimenti senza parole, di una nascita in seno all’Universo e alla terra da lui generato.
L’essere è provvisto di vita affinché attraverso lui continui il percorso evolutivo da una forma primordiale, fino all’apparente perfezione dell’attuale, esprimendo la volontà stessa della vetta. In noi ci sono tutte le vite passate in relazione con ogni elemento esterno che le ha caratterizzate, compreso il rapporto accentuato con quel mondo animale di cui alcuni miei fedeli compagni ne rappresentato gli aspetti più interessanti. Nel momento in cui riesco a liberare in loro tutti quegli istinti di addomesticazione che gli abbiamo impartiti per secoli. Per cui essi tornano ad essere quello che erano, compagni di caccia liberi nelle scelte, e di nuovo autosufficienti per il proprio fabbisogno. Esaminare quegl’uomini in vetta, ora che sto ammirando queste cattedrali, forme contorte del nostro passato remoto, non è opera di erudizione da bibliofilo e appassionato di montagna, ma uno scavare nelle viscere della terra attraverso tutti i pensieri che sono anche nostri, nel senso che ci sono appartenuti milioni di anni fa’. Di nuovo cerco di coprire il cammino nella soffice simmetria di questa neve, e lasciare il riflesso di immagini che sono ‘il Tempo’,‘nel Tempo’.

(G. Lazzari, Il Viaggio)





Come l’artista scavo la pietra,
animo la scultura della mia illusione
scolpita nel principio di una diversa
passione.
La pietra è più dura di ogni cuore
che incontra la mia penna,
la dura pena per ogni tortura
ombra del loro Dio.
Perché raccontano
che è la più bella visione,
Madonna che aspetta la sua offerta,
con il bambino gravido e senza rancore. (1)

Era la nostra Dèa nel principio,
prima del libro del profeta, 
le hanno rubato anche il sorriso,
acqua di torrente che sgorga
nella mente.
Mentre Cibele semina il campo
del mio paradiso,
dove coltivo con solo il sorriso,
il frutto proibito tributo
per un nero aguzzino.
Cui debbo anche il dolce vino,
dona l’ebbrezza e la comprensione,
una penna che incide la dura pietra
divenuta passione.
Rito nuovo come sangue che sgorga
da una ferita della nuda terra. (2)

Scavo nella memoria,   
scavo la zolla,
scrivo con l’aratro il sogno nascosto
confuso con il peccato.
La pietra assume visione
di un altro Dio,
per tanti è solo un caprone
mal scolpito.
La pietra mi racconta
un’altra visione,
coniato nel profilo di una moneta,
nella giara antica dove la tomba
l’ha restituita.
Racconta un diverso amore
e la terra di un altro colore.
Racconta la gloria di un altro peccato,
racconta la storia di un altro Dio,
forma la statua di un altro oracolo.
Racchiuso nella pergamena di un filosofo,
raccolto dalla parola di un’astronomo,
raccontato per bocca di uno storico,
intuito dalla mente di un matematico. (3)

(G. Lazzari, Frammenti in Rima)

(Fotografie di M. Schlegel)

(Prosegue....)


















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