giuliano

venerdì 10 aprile 2015

L'ESILIO DI JONATHAN (10)





































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L'esilio di di Jonathan (9)

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Il volo di Jonathan (11)














... Antico (per essere da noi capito), come se non fosse tuo ingegno ‘meccanico’ con l’ala volontà cui si forma l’istinto nel gene custodito, ma al contrario (immonda Eresia…), il vento ti è, ed era amico, e indica la via della tua Parola quanto il passo quale volo della nostra misera ‘ora’. Il vento io avevo ed ho capito, legge la strofa e l’ingegno di Dio come fosse un suo sospiro, guida il volo nell’attimo in cui la Parola dal Pensiero ‘vola’, dal tuo Dio nutrita e concepita, questo elemento a noi nemico. Questo mistero per noi non può essere accettato o appena tollerato, delle ‘bestie’ come te noi nutriamo il nostro corpo e con esso il suo Spirito, perché la ‘via’ Dio ha indicato quale padrona del tuo martirio. Non tornare per questi luoghi, fuggi dal nostro sentiero, l’esilio sia compagno dell’eterno destino… Siamo noi i padroni del tuo volo, siamo noi il tuo Dio, e da qui il mio terreno occhio non scorge l’Eretico Primo Dio, con questa bestemmia noi nutriamo l’eterno pasto ben condito, tu cacciagione del nostro mortale istinto…. Il nostro vento ed in nostro comune ‘verbo’ corrono veloci da un ‘parabola’ ad un filo… occhio di Dio.  Te osi nominare Polifemo la nostra ‘parabola’? Te osi insultare la nostra ‘parola’? Disciplina e ‘canone’ di vita? Te osi turbare l’economia ed i denari della terrena e comune ricchezza? Osi pronunciare la tua ‘scemenza’ nominata ‘Eresia’, non turbare la ‘via’ non osare altra ‘magia’ da me scorta una mattina, perché ad un fucile appenderò la tua inutile e dannosa vita, ad un chiodo ornerò il mio camino quale trofeo antico la tua testa occhio senza alcun Dio. Testa di un pasto troppo antico per essere discusso al regno della eterna legge di cui leggo il raffinato e ben illustrato libro. ‘Minare’ il tuo volo è mio dovere perché la legge di un papa padrone del creato mi investì del secolare incarico…”
Quell’uomo già ho visto giù da basso, nella valle che forma la mia Rima, come una parentesi una stonatura alla musica dell’Eterna Ora, un colpo di freccia o forse di fucile, una brusca ‘parola’: non è Rima di vita, non è musica ‘trovata’ uno stesso giorno da un altro nobile Signore. Trovatore della Parola accompagna(va) il suo quanto mio motivo. Ma  io ed altri miei fratelli di questo martirio, dopo un ‘viaggio’ troppo lungo per essere qui solo descritto, cantiamo la strofa eterna di Dio, ed il Trovatore apprese e musicò la Poesia, la canzone antica…, apostrofò la vita di nuovo risorta al teschio della terrena vita…)







Per chi viene (come Jonathan…) dal cuore della Francia, i Pirenei si materializzano di colpo…., come una sorpresa…..
Dalla verde pianura ondulata allo spartiacque ci sono 3.000 metri di dislivello e non più di una quarantina di chilometri in linea d’aria: creste, cime e nevai sono parte integrante del profilo urbano di Pau, di Tarbes, di Saint-Gaudens, di Lourdes e degli altri centri abitati allineati sul margine della pianura. Verso quelle vette che superano o sfiorano i 3.000 metri (Marboré, Vignemale, Balaitous, Pic du Midi d’Ossau…) salgano valli ripide e incassate, rivestite di faggete e abetaie, percorse da acque spumeggianti. In alto si aprano i pascoli e le pietraie, si alzano creste dentellate e pareti. Poche altre regioni d’Europa offrono l’uno accanto all’altro ambienti che sembrano appartenere a ‘mondi’ così diversi.
Un nibbio reale che prende quota sopra il massiccio del Ribeste, che sovrasta Lourdes, si innalza in un’aria che sa di Mediterraneo, profumata di timo, rosmarino e lavanda, sorvola prati verdi come nella più verde Irlanda e oscuri boschi di faggi e abeti bianchi degni della Foresta Nera, ed in pochi minuti è sopra gli antichissimi graniti del massiccio di Néouvielle punteggiati di laghi glaciali e rivestiti di praterie e torbiere, o tra le pareti verticali dei giovani circhi glaciali di Troumouse, Estaubé e Gavarnie, ciclopici anfiteatri calcarei di origine marina. Anche fauna e flora qui presentano un campionario fuori del comune. Fa effetto vedere i grifoni o i capovaccai, uccelli che viene spontaneo associare alle grandi pianure aride, roteare sopra questi paesaggi alpestri sorvolando le abetaie dove canta il gallo cedrone, le pietraie dove fischia la marmotta o si acquatta la pernice bianca, le creste su cui si avventura il camoscio. E poi ci sono le aquile reali ed il grande avvoltoio degli agnelli; giù nei boschi più impenetrabili, si nasconde l’orso, e nei torrenti vive la sua vita furtiva lo straordinario desman.






Quanto alla flora, conta 150 endenismi, specie che vivono solo qui, come su un’isola, e la bellissima ramondaia, pianta tropicale sopravvissuta ad un’epoca in cui il clima su questi monti doveva essere straordinariamente caldo. Insomma, un patrimonio di ricchezze naturali e ambienti da non perdere. E infatti, in queste valli, dal 1967 c’è uno dei parchi nazionali francesi: il Parco dei Pirenei occidentali. Una striscia larga al massimo 15 chilometri e solo uno e mezzo nel punto più stretto, che corre per un centinaio di chilometri lungo la frontiera con la Spagna, dalla testata della valle d’Aure a quella della valle d’Aspe a ovest. Ha una superficie di 457 chilometri quadrati, a cui si aggiungono i 23 della Riserva naturale di Néouvielle, ma nessuna abitazione sorge nel suo territorio. Il perimetro è ossessivamente marcato da una vistosa segnaletica – una testa di camoscio rossa in campo bianco – come se fosse necessario, a scanso di equivoci, rendere ben chiaro dove comincia la protezione (ugual testa orna il mio camino nel Tempo ciclico del feudo antico, ugual trofeo orna la mia caccia svago della mia ‘ora’, non v’è direzione in codesta ‘Parola’ bada amico che leggi la mia ‘opera’, perché ora vedo il nobile signore chino attento al suo libro. Scorgo l’occhio freddo e lucido mentre contempla la parola, mentre prega Dio, la sala ampia e ricca del fasto della sua ricchezza, della guerra, del commercio cui il nuovo Millennio è padrone della moneta. Ugual metallo pregiato quanto l’armatura ben esposta alla vista, accompagnata dall’arma commissionata al fuoco della fucina, affilata quanto la spada che uccide ogni parola nemica, io servo e custode per conto di Dio. “Se di nuovo resusciti, complice la Storia, la mia anima assopita e custodita nella sacra dimora, Chiesa maestosamente nel Gotico scolpita, come fosse ‘pietra morta’ dalla quali trassi la voce della dottrina, non trascurare di narrare che io fui sempre servitore di Dio, non trascurare di dire che io sempre fui servo della sua parola, perché ora la mia Anima risvegli incatenata ad una strano destino non conforme con la Parola pregata del tuo Primo Dio. Ti scruto ed osservo ora in questa nuova vita, un albero orna la via, fermo immobile, per quanto in tanti pregano le mie spoglie ben custodite, per quanto in tanti guardano la pietra ove è custodito il mio nome, con tanti ‘primi e ‘secondi’ araldi della nobile casata, perché il sangue puro abbiamo in dono da quel Cristo. Forse fu una pretesa figlia dei suoi tempi, ed ora, per punizione del tuo blasfemo Dio, dono immobile linfa alla bestia del mio banchetto antico. Sono in attesa, nel cerchio della mia ora scritta e scolpita nel tronco del secolare destino, di restituire ugual sangue e respiro, nell’errore così ben concepito, di cui facemmo ricco il nostro secolar destino. Spero di narrare per il vero, dopo i tanti secoli trascorsi ed accompagnare il tuo canto, di trapassare a miglior vita. Zitto non ricordare! Ma se vuoi cerca di alleviare questo male antico, vorrei passare dall’immobilità di questa stagione a nuova vita così da poter narrare la vera via, ma se nomini i miei trascorsi forse potrei divenire selvaggina, ed ad un fuoco appendere e condire l’altrui vita. E poi… dopo l’inferno, comprendere la paura, dopo il fuoco ben digerito, comprendere le rime o le parole inquisite… Zitto Jonathan, non narrare o cantare del mio dolore antico, tacita la lingua arguta, miriamo il libro quale foglia antica opera preziosa, miriamo la raffinata arte, mi pento della tortura arrecata, mi pento del dolore in quel nome custodito, e per il nome restituito, ora so che fu l’errore ad indicarmi il passo, ora so che fu l’intolleranza a dissetare la volontà di ricchezza. La croce solo una scusa, il tuo Cristo, una miniatura ben dipinta ad ornare la mia sete di ricchezza. Non compresi mai la sua Parola, anche se ben custodita e incaricata. Zitto Jonathan, sto di nuovo leggendo il libro, capo chino al castello antico, con la tua venuta saprò una nuova vita alla mia ‘ora’, certo contemplerò e conserverò l’opera della stessa ora, ma ugual libro Eretico ed inquisito riscriverò al calvario delle vite uccise e perseguitate, ugual arte adopererò nella volontà nei secoli compresa, al crocevia del ramo di questo Tempo invisibile al terreno cammino….








Zitto Jonathan, una foglia cade come una lacrima da quella antica ‘ora’ nell’inverno di quella strofa ben dipinta, ed ora la ‘primavera’ la resuscita alla verità di una nuova venuta, e nella ‘pace’ scrivere la vera Natura…. Giammai guerra arrecherò alla Vita, ma prego ogni sua opera, quale voce del tuo e mio Destino, ogni Vita è sacra a Dio… E se io orno il tuo libro quale pregiata miniatura del cammino, volo eterno nel terreno cammino scritto, riscriverò per ‘loro’ e ‘mia’ anima al girone della vita, perché una Rima, come da quel Dante così ben concepita, possa restituire giammai volgare lingua, ma grammatica di vita…. all’esule fuggito dalla sua patria tradita…. E risalire la vita al purgatorio della parola cui non mi fu concesso neppure un ‘verso’ di secolare memoria, accetta il mio pentimento qui chino ed assiso nel luogo smarrito, concedimi almeno il ‘verso’ tacitato al respiro per tanto tempo donato alla punizione del tuo Dio…. Concedimi di volare e giammai compiere il completo girone della vita, ora che sto ‘strisciando’ ed implorando clemenza antica…”)








La verità che affrontiamo non è pertanto solamente quella dell’assimilazione ma è anche quella del ruolo dei miniatori nei meccanismi di circolazione dei manoscritti o dei modelli e gli effetti di tale circolazione.
‘Sono dunque gli scambi, gli spostamenti, ciò che (ci) (proprio su quel ‘ci’ mi soffermo, come un ramo fiorito, perché il mio intento non è svilire la ‘Natura’ di quell’arte ma far sì di restituire l’invisibile moneta che l’arte ha sottratto alla dignità di ciascuno, e di essere da tutti indistintamente vissuta, così come è la vera Parola da Dio sacrificata al teschio della tua venuta, nobile che destini il tuo racconto, su cui prenderò giusto appunto, perché in verità a te dico, che quell’arte è ugualmente e per sempre Divina. L’importante è saper cogliere e coltivare il vero frutto, è saper interpretare la giusta Parola, perché ugual commercio in questa stessa ‘ora’ una strana miniatura illumina la falsa parola con le eterne ragioni e stagioni di uno stesso scambio e commercio. Allora poso ben dire: che la tua opera sia contemplata, che la tua arte sia gustata come ebbe a dire quel famoso critico: ‘possedere un libro  miniato è come scrutare l’universo antico, tutto quanto entro un piccolo libro’. Ma ora il miniato e comune camino accendono un diverso libro con tanti geroglifici e parole piccole al palmare della vita, tutto il mondo ugualmente possedere senza essere neppur capito. Tutto veloce e ben curato come una ‘miniatura’ antica, ma ugual terreno cammino circolerà quale linfa dell’eterno umano martirio, e la vita di nuovo tradita. La Natura di nuovo uccisa alla croce di questa verità antica per essere dalla materia capita…)








…. I miniatori stranieri, provenienti dall’Italia o dalla Catalogna, o formatisi in un momento precedente in ateliers italiani o catalani, sono portatori di un trasferimento la cui analisi ci permetterà di meglio valutare quale è stato il ruolo svolto dalla miniatura italiana o catalana del contesto della ‘decorazione’ libraria nel Midi della Francia fra il XIII ed il XIV secolo. Una prolifica ‘bottega’ da cui prendiamo spunto ed appunto per la comune Memoria è quella del ‘Liber Visionis Ezechielis’ dalla prima opera individuata: il ‘Liber Visionis Ezechielis de Rotis’ del francescano Enrico del Carretto (1270-1323), opera conservata in due copie manoscritte, fra loro contemporanee, oggi custodite alla Bibliothèque nazionale di Parigi. In quest’ultimo esempio, ora impoverito di una buona parte del suo apparato illustrativo, Francois Avril ha individuato, nell’esecuzione di due iniziali miniate l’intervento del famoso miniatore italiano conosciuto come Maestro del Codice di San Giorgio.
Anche nell’apparato ornamentale delle ‘Decretali’ senesi, foglie d’acanto dalla fisionomia a mezza palmetta, dipinte di rosso arancio, blu e rosa, profilate in biacca, di matrice italianizzante, si avvicendano ad elementi peculiari della Francia meridionale al confine con la Spagna…, come il repertorio di figure grottesche dai volti lunari e dall’espressione ilare, posate su lunghi colli filiformi dall’andamento arricciato a guisa di molla…, ed accompagnano (…ornano con la parola il nostro comune cammino…. al girone della terrena vita cui è legato il ciclo della Divina Rima compiuta. Commedia recitata ma giammai capita al confino di una nuova via: ora cammina e vola quale verso di una nuova rinascita, per contemplare ed ornare la mia Eterna Venuta: Benvenuta Parola al sentiero del libro della vita. Anche se feroce o dolce come il ruscello ove disseto il nobile pensiero compi il ciclo della Natura, orni il disegno nell’evoluzione di ciò che fu e sarà la parola da qui evoluta. Ucciderai la Rima e la strofa, flora e fauna della vita così ben miniata e dipinta, guardala è un quadro di grande bellezza! Prega, perché questa la tua vera ricchezza! Ma con il tuo nobile ingegno, parola da lì cresciuta, la Poesia sarà così compiuta e sacrificata al teschio della terrena venuta… Parola evoluta…).








I protagonisti che si affacciano, a questo punto dell’opera miniata (giammai da noi minata…) sono, con i loro ‘volti’ altrettanto stralunati che ci scrutano per questo sentiero, i padroni o custodi della ‘pagina’ così ben ornata sentiero di vita, personaggi che per la loro ‘simpatia’ e ‘droleries’ dell’Ecosistema osservato, di rara bellezza compostezza riservatezza, e talvolta, feroce consistenza. Si sporgono da una pagina da un rigo, ornano il passo invisibile non visto nel loro secolare invito…








In Primavera la livrea candida dell’ermellino (Mustela erminea) che comincia a riprendere il suo calore fulvo come segnale della fine dell’inverno. Nel fitto dei boschi risuona il canto d’amore del gallo cedrone (Tetrao urogallus). Il bianco capovaccaio (Neophron percuopterus), l’avvoltoio degli Egizi, torna dai quartieri d’inverno africani. Nelle radure e nei canaloni più esposti, fiorisce il giallo giglio dei Pirenei (Lilium pyrenaicum). La remondia (Ramonda pyrenaica), testimonianza di lontani climi tropicali, apre i suoi fiori violetti negli angoli più umidi.
In estate il ritorno delle greggi sui pascoli estivi vuol dire anche più disponibilità di cibo per i grandi rapaci mangiatori di carogne. Il gipeto o avvoltoio degli agnelli (Gypaetus barbatus) perlustra ghiaioni e praterie per scoprire la carcassa di qualche animale morto accidentalmente. Questo grande uccello riesce a consumarne anche la pelle e le ossa. La giovane aquila (Aquila chrysaetos), riconoscibile per le macchie bianche sulle ali e sulla coda, impara a cacciare accompagnata da uno dei genitori. Per il camoscio (Rupicapra pyrenaica) inizia la stagione degli amori, ed i maschi sono impegnati a conquistare un territorio ove attirare le femmine. La marmotta (Marmotta marmotta) imbottisce d’erba secca la tana dove passerà l’inverno. Anche l’orso bruno (Ursus arctos) si prepara al letargo facendo scorpacciate di mirtilli… 

(Airone.... & I libri miniati...; nelle parentesi commenti del curatore del blog...)














                                     


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