giuliano

sabato 2 maggio 2015

IL TEMPO E LA MEMORIA (15)








































Precedente capitolo:

Il Tempo & la Memoria (14)

Prosegue in:

Il Tempo & la Memoria (16)













.... Dimensioni umane e giurisdizionali allargate: da un lato, protratte nello spazio e nel tempo della convivenza tra persone e, dall’altro, inserite in dinamiche di controllo (costante) del territorio (anche senza motivo alcuno da giustificare siffatta ‘opera’) e degli organismi di potere, oltre che di azione individuale e coordinamento istituzionale. I ‘numeri’ sollecitano parole che presentano azioni: segno e necessità di una ‘memoria del controllo’ che può divenire ‘memoria da controllare’. Nella memoria conclusiva dell’inquisitore il passato si collega al presente e l’agire si salda al documentare. I ricordi biografico-amministrativi, espressi in un linguaggio equilibrato e diplomatico, indicano un preciso e costante percorso, valorizzano opere, mostrano valida documentazione.
Il ‘Testamento racionum’ rappresenta l’eccezionale testimonianza della lunga e ben retribuita avventura repressiva di frate Lanfranco, schiudono un mondo: essi non sono solo rendiconti finanziari ma, segnando parole che rimandano ad azioni espresse e compiute, indicano una duplice evidente consapevolezza. Il duplice aspetto della consapevolezza amministrativa nella correttezza dell’agire che nella loro compilazione accompagnate da una vena ‘diaristica’ informa la (‘dotta’) narrazione (di cui frate Lanfranco è Dottore). Lo stile dei fatti introduce il personaggio, l’erudito personaggio incaricato, con la consapevolezza di sé, delle proprie azioni, del proprio compito emerge con chiara determinazione nel corso dello svolgimento degli eventi finali dei suoi inquisiti… e perseguitati…
I tredici anni che trascorrono nella fase centrale della vita di frate Lanfranco lo rendono partecipe e protagonista nonché (invisibile) responsabile di importanti iniziative inquisitoriali: in molti dei processi documentati nello scorcio del XIII secolo egli interviene in vario modo. Lo troviamo presente in occasione dell’interrogatorio d’esordio del processo contro i devoti e le devote  di Guglielma. Per una strana coincidenza che ci illumina circa il ruolo ‘velato’ ma ben accreditato di frate Lanfranco, nel medesimo giorno a Parma si concludeva sul rogo l’avventura umana e religiosa di Gherardo Segarelli: il frate bergamasco era stato a Parma agli inizi del 1298 nel momento avviato del processo finale…

(M Benedetti, Inquisitori del Duecento & commenti del curatore del blog) 





La Cronaca di Salimbene inizia così:

'Durante il mio soggiorno nel convento dei Frati Minori di Parma, quando già ero sacerdote e predicatore, si presentò un giovane del luogo, di famiglia di basso rango, illetterato e laico, idiota e stolto, di nome Gherardino Segarelli'.


E' proprio un esordio fortemente programmatico. Contiene in sostanza l'intera linea interpretativa che Salimbene verrà poi svolgendo nella sua Cronaca. Un giudizio netto e negativo precede tutta l'esposizione dei fatti. Il tono è assertorio, e non vi è ombra di un atteggiamento minimamente dubitativo. I dispregiativi 'illetterato e laico, idiota e stolto' accompagnati al 'famiglia di basso rango' si contrappongono alle qualifiche dello stesso Salimbene 'sacerdote e predicatore'. A parte il fatto che l'aggressivo 'laico' non può in nessun caso venire proposto con valenze negative, le qualifiche del Salimbene contrapposte ai dispregiativi del Segarelli servono per collocare se stesso su un piano incomparabilmente più elevato e perciò incontestabile. Si tratta di una sottintesa intimidazione verso il lettore. Da notare che all'incirca con gli stessi epiteti fu qualificato Valdo all'inizio della sua predicazione. Che l'aggettivo 'laico' venga qui utilizzato in senso spregiativo, dimostra come i conventuali ritenessero improponibile che un laico potesse parlare di Dio, di quel Dio che in sostanza pretendevano di avere come in monopolio, come sequestrato da loro, e di cui solo i chierici potevano parlare….


‘Non essendo stato esaudito nella sua richiesta di essere accolto nell'Ordine, Gherardo ‘se ne stava tutto il giorno, quando gli era possibile, nella chiesa dei frati a meditare cioò che poi, nella sua stupidità, mise in atto’.



  
Sorgono subito alcuni dubbi.
Come è possibile che un 'illetterato, idiota e stolto' possa avere una vocazione così forte per la meditazione?
E poi un giovane, se davvero 'di basso rango', come può permettersi di stare a volte 'tutto il giorno' a meditare?
C'è qui, comunque, evidenziata in Segarelli la convinzione di poter essere ammesso nell'Ordine dei Minori, dunque di poter a buon diritto entrare nell'ambito della Chiesa ufficiale, nulla che faccia presagire la minima deviazione eretica. Salimbene stesso è qui ancora lontano dal mettere in evidenza la pericolosità della deviazione che emergerà in seguito, e infatti è tutto teso a evidenziare soltanto la 'stupidità' di Gherardo. Ma le questioni del grado di cultura e della condizione economica di Gherardo sono già poste in modo contraddittorio.
...Con uno 'scemo' c'era poco da 'istruire', e in ogni caso l'Ordine non ne avrebbe ricavato alcun onore!
Nonostante il rifiuto, Gherardo non fu messo immediatamente alla porta, ma rimase in convento quell'intera giornata. Mentre visitava il monastero, fu attratto da un paralume sul quale erano dipinti i dodici apostoli, con il mantello sulla spalla e i sandali ai piedi. Ciò gli fece venire l'idea di seguire in tutto e per tutto i discepoli di Cristo. Si lasciò crescere la barba e capelli, si mise sulle spalle un ruvido mantello e ritenne, presentandosi così di rassomigliare agli apostoli. Come un secondo Pietro Valdo, egli vendette la casa; raccolse dei vagabondi e distribuì i soldi ricavati dalla vendita a quei derelitti, che se li giocarono subito ai dadi.

 Mi sembra che fra Salimbene descriva i fatti un po' troppo comicamente.




Che Segarelli, per aver visto il dipinto con gli apostoli, fosse portato a seguire la vita, può magari anche esser stato vero; ma occorre porsi nel contesto dell'epoca: l'ideale apostolico nel XIII secolo era molto esaltato come comportamento religioso esemplare; il numero di coloro che in ogni modo intendevano seguire l'insegnamento del santo di Assisi era una legione. Già nel 1215 il Concilio Laterano, per evitare che il popolo fosse preda della confusione, aveva proibito la formazione di nuovi ordini mendicanti.
Il Segarelli voleva seguire radicalmente l'insegnamento di Francesco, e non avrebbe chiesto alcuna eccezione all'Ordine dei frati Minori. Il loro rifiuto ad accoglierlo non spense il suo fervore apostolico, anzi lo infiammò ancor di più!


















Nessun commento:

Posta un commento