giuliano

venerdì 12 febbraio 2016

EVOLUZIONI... (12)




































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Pare che debba essere riconosciuto a Bolden il merito di aver utilizzato per primo, nelle esecuzioni orchestrali, materiale tratto dal folklore musicale negro-americano. A lui comunque la tradizione attribuisce la paternità dell’‘hot blues’, e cioè del blues eseguito orchestralmente, con variazioni improvvisate. E' sicuro ad ogni modo che la popolarità di Bolden nei pochi anni in cui fu attivo come musicista, era grande: le donne non sapevano resistergli, e lui non sapeva resistere né a loro né al whisky. A causa della sua vita sregolata finì per perdere il senno: nel 1907 fu rinchiuso in un manicomio della Lousiana, dove morì molti anni dopo, nel 1931. Se fu davvero l’inventore del jazz non poté mai rendersi conto del successo ottenuto dalla ‘sua musica’. Come suonasse e quanto valesse questo primo ‘re del jazz’ non sapremo mai.
Forse era davvero uno strumentista un po’ rozzo, come lo definì Louis Armstrong (che però era un bambinetto di sei anni quando Bolden smise per sempre di suonare....); forse era un musicista ma soprattutto uno showman, un uomo di spettacolo, esibizionista, come dichiarò Sidney Bechet. Anche se non fu ‘la più potente tromba della storia’, come proclamò solennemente Jelly Roll Morton, che esagerava spesso, fu però probabilmente un caposcuola, un iniziatore.




Un altro trombettista veterano, di New Orleans, Papa Mutt Carey, ha detto: ‘...l’uomo che ha dato il via a tutto il jazz è stato Buddy Bolden. Sì, era un trombettista potente, e un buon trombettista, anche. Penso che gli si debba riconoscere il merito di aver dato inizio a tutto quanto’. Louis Armstrong nella sua autobiografia parla di lui in questi termini: ‘dopo un paio di settimane mia madre, completamente ristabilita, andò a lavorare presso alcuni ricchi signori bianchi che abitavano dalle parti del cimitero a City Park. Felice di rivederla in buona salute, cominciai a rendermi conto di quello che succedeva intorno a me, e ciò che mi colpì maggiormente furono gli ‘honky tonk’ nei pressi di casa nostra, così diversi da quelli della zona di James Alley che avevano solamente un pianoforte. A Liberty Street, Perdido Street, Franklin Street e Poydras Steet c’erano locali a ogni angolo e in ciascuno di essi si suonavano strumenti di ogni genere. All’angolo della strada in cui abitavo io c’era il famoso Funky Butt Hall, dove per la prima volta sentii suonare Buddy Bolden.




PAREVA UN TEMPORALE. In quel quartiere non mancava nulla e anche se logicamente a noi bambini era vietato l’ingresso al Funky Butt, potevamo sempre ascoltare l’orchestra dal marciapiede. A quei tempi, quando c’era una festa danzante, l’orchestra suonava per una buona mezz’ora davanti all'ingresso del locale prima di entrare per accompagnare le danze. Questo si faceva ovunque in
città per attirare il pubblico, e di solito funzionava.
Buddy Bolden suonava con tanta forza che io mi domandavo se avrei mai avuto tanto fiato nei polmoni per suonare la cornetta. In fin dei conti Buddy Bolden era un attimo musicista, ma secondo me soffiava un po’ troppo forte e, anzi, forse non soffiava nemmeno come si deve.
Comunque finì per diventare pazzo, ....e non c'è da stupirsi.....’.




Ebbene, Tin Pan Alley è il nome dato all’intera collezione di spartiti che dominarono la musica popolare americana dalla fine del XIX secolo agli inizi del XX e furono pubblicati a New York da alcuni editori in stretto contatto con i compositori e, talvolta, compositori essi stessi. Per essere più precisi con questo nome si indica anche il centro mondiale dell’editoria musicale, a partire dal 1895 fino al 1920.
Prima di Tin Pan Alley i più importanti editori erano sparsi nel nord degli Stati Uniti. Gli editori-compositori che daranno vita a Tin Pan Alley ebbero un ruolo fondamentale nella diffusione degli spartiti all’interno del paese e, specialmente all’inizio, non si limitarono a quelli di musica popolare, ma pubblicarono anche musica sacra per le funzioni domenicali, libri di teoria musicale e studi di vario genere per uso domestico e scolastico.
L’idea di organizzarsi in tale maniera nacque dalla semplice constatazione che dalla fine della Guerra civile americana (1861-1865) venivano venduti ben 25.000 pianoforti l’anno a ritmo costante e che nel 1887 il numero di giovani che studiavano quello strumento era salito a 500 mila. Il risultato di tali tendenze fu un aumento della richiesta di spartiti, ragion per cui sempre più editori entrarono in questo nuovo e fiorente mercato.




E’ in questo clima ricco di fervore creativo e di notevoli guadagni che a New York un considerevole numero di editori scelse, come zona per i propri uffici, l’angolo sulla Ventottesima strada tra la Quinta e Brodway: il luogo divenuto celebre come Tin Pan Alley. Il motivo per il quale a tale luogo fu dato un nome così particolare non è storicamente documentato; probabilmente esso risale ad alcuni articoli scritti, a cavallo dei due secoli, da un giornalista di nome Monroe Rosenfeld il quale coniò questo nome come termine onomatopeico, per evocare la sonorità così caratteristica della zona newyorkese in questione. Tradotto letteralmente Tin Pan Alley significa infatti ‘vicolo delle pentole di latta’. Probabilmente la presenza contemporanea nello stesso luogo di così tanti pianoforti che eseguivano le nuove composizioni negli uffici degli editori, produceva una particolare cacofonia che il giornalista avvicinò al suono di tante pentole percosse.
Sicuramente questi furono degli anni incredibili, ove la creatività dei compositori fu abilmente utilizzata dagli editori per dar vita a uno dei più importanti fenomeni culturali dell’America di quegli anni. In questo periodo Tin Pan Alley produsse un’enorme quantità di canzoni di grande rilevanza, sia dal punto di vista commerciale che artistico, al punto da segnare in modo marcato la cultura americana; molte di quelle canzoni sono, infatti, oggi ampiamente conosciute in tutto il mondo. Il mercato di questa musica fu enorme anche rispetto agli standard delle vendite: ad esempio nel 1892 il brano ‘Harris’s after the ball’ vendette oltre cinque milioni di copie…




Si potrebbe pensare che quelle note fossero scritte per solo fini commerciali e, raccontata così, la storia rischierebbe di gettare cattiva luce sull’intera produzione musicale di quel periodo – produzione che fu anche alla base del repertorio di musica jazz, al centro di questa trattazione – ma non è così. Il successo di quella musica, infatti, semplicemente dimostra il trionfo del talento e dell’arte sugli interessi commerciali che fortunatamente furono curati con grande attenzione dagli editori dell’epoca, ma mai a discapito DELLA CREATIVITA’ UMANA! 
...L’impatto di queste nuove sensibilità tradotte in note musicali apportarono a quel cambiamento manifesto di cui accennavamo con Benjamin, la rapida crescita tecnologica, infatti, di quegli anni, diede vita all’industria dell’intrattenimento musicale, fenomeno in parte nuovo rispetto alle esperienze europee. In Europa in effetti, tale industria non aveva mai avuto ragion di esistere poiché il sostegno economico dei musicisti, fatta eccezione per il ruolo degli editori, era in gran parte assicurato da mecenati e, in seguito, da singoli benestanti che continuarono a prendersi cura della sopravvivenza dei grandi compositori… Il vero problema di questi primi anni dell’industria musicale – che non si avvaleva esclusivamente della pubblicazione di spartiti ma evolveva soprattutto sulla registrazione e diffusione di dischi – risiedeva nel fatto che tutta la tecnologia disponibile era utilizzata esclusivamente dai bianchi. Nei primi anni del 900, l’incisione di un disco aveva alle spalle orribili regole discriminatorie…

(M. Ondaatje, Buddy Bolden’s Blues & A. Polillo, Jazz & L. Armstrong, Satchmo la mia vita a New Orleans & S. Cataldi, Viaggio nel Jazz)














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