giuliano

mercoledì 8 febbraio 2017

COMMENTI SENZA... COMMENTI (12)






































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9 aprile 1968

...Mentre le ceneri fumavano ancora, i saccheggi dei negozi continuavano e in alcune città americane si lanciavano molotov, su Atlanta convergeva un tale numero di aerei privati con a bordo persone dirette al funerale di Martin Luther King che alcuni dovettero girare sopra la pista tre quarti d’ora prima di ottenere il permesso di atterrare. Trasportavano Nelson Rockefeller, George Romney, Eugene McCarthy, Hubert Humphrey e ...Robert Kennedy: secondo l’Atlanta Constitution, era ‘il più grande raduno di candidati presidenziali mai verificatosi’.
 Il funerale di King creava non poche difficoltà anche a Kennedy. I tumulti avevano complicato parecchio la sua strategia, ovvero fare iscrivere agli elenchi un numero record di neri e contemporaneamente riconquistare molti dei lavoratori bianchi che nel 1964 erano passati all’ex governatore dell’Alabama, George Wallace.




Questi ‘backlash voters’ vedevano già Kennedy come il campione dell’elettorato nero. I filmati che lo ritraevano mentre parlava agli afroamericani di Indianapolis e mentre camminava per le vie di Washington in testa a una folla nera avevano rafforzato questa impressione; la sua presenza al funerale di King avrebbe rappresentato un’ulteriore conferma…
Nei giorni successivi ai disordini, i membri di ambedue i partiti avevano tenuto discorsi forti sul mantenimento della legalità e dell’ordine. Anche Kennedy aveva dichiarato che la violenza era ‘inaccettabile’, ma aveva sempre collegato questa affermazione a una denuncia ugualmente decisa dell’ingiustizia razziale. Anche lui partecipava con riluttanza ai riti funebri e, dopo avere assistito al suo arrivo, Remer Tyson dell’Atlantic Constituition, scrisse che le sue mani inquiete e i suoi occhi tristi mostravano ‘quanto presente dovesse essere il pensiero dell’assassinio del fratello, quando scese da quell’aereo’.




Nelle successive ventiquattro ore non vi sarebbe stato quasi un istante in cui a Kennedy non fosse ricordato il fratello defunto. Lo condussero dall’aeroporto a casa Coretta Scott King, dove una delle amiche della vedova gli riferì che, dei 12.000 telegrammi che la signora King aveva ricevuto, quello che più l’aveva commossa era stato quello inviato dalla madre di Lee Harvey Oswald:
…Ethel indicò degli appartamenti sopra una fila di negozi danneggiati dalle fiamme e chiese: ‘Chi abitava lì, dei bianchi?’.
‘No! Gente nera’ gridò la folla.
Delle donne si sporgevano dalle finestre gridando: ‘Quello è Kennedy?’. Poi quando videro che si trattava proprio di lui lo salutarono gesticolando e lo acclamarono. Si fermò in uno dei pochi negozi di alimentari ancora aperti.
Uno degli uomini in fila gli prese la mano e disse: ‘Anch’io ho dieci figli e voglio una vita migliore per loro’.
Una donna lo fissò incredula, ‘Sei proprio tu?‘ chiese. ‘Sapevo che saresti stato il primo a venire caro’.




 Raggiunto un punto in cui la strada saliva, Kennedy e Fauntroy si bloccarono, all’improvviso interdetti alla vista di un panorama di distruzione che quasi lambiva la Casa Bianca. Fauntroy domandò a Kennedy come stesse andando la campagna e lui rispose che procedeva bene e che se avesse vinto nell’Indiana e nel Nebraska pensava di poterci riuscire nell’Oregon e in California, e a quel punto avrebbe potuto ottenere la nomina a candidato.
Fece poi una pausa, come a ponderare attentamente le prossime parole, poi disse: ‘Ma c’è un problema’.
‘Di che cosa si tratta, Bobby?’.
‘Temo che ci siano dei fucili tra me e la Casa Bianca’.
Fauntroy rimase di sasso, stupito che Kennedy avesse espresso quella paura silenziosa che covava in chiunque lo conoscesse, camminasse con lui in mezzo alla folla, gli stesse accanto sull’angolo di una strada circondato da alti edifici o viaggiasse con lui su una decappottabile.




Se questa fosse stata l’unica volta in cui Kennedy si espresse in questo modo, si sarebbe potuta liquidare la frase come un’esagerazione, alimentata dalla morte di King e dalla vista delle truppe armate che in quello stesso momento circondavano la Casa Bianca.
Ma la notte dell’assassinio aveva confidato a Joan Braden: ‘Potevo essere io’, e solo un mese dopo avrebbe detto allo scrittore Romain Gary: ‘Non c’è modo di proteggere un candidato nel corso della campagna. Devi concederti alla folla e da quel momento deve correre i tuoi rischi… Lo so che prima o poi subirò un attentato. Non tanto per ragioni politiche ma per contagio, per emulazione’.
...Pochi politici sono stati amati e odiati con la passione che è stata rivolta a Bobby Kennedy, o si sono fatti nemici pericolosi quanto Jimmy Hoffa e J. Edgar Hoover. Un informatore dell’Fbi riferì che il capo degli autotrasportatori, Jimmy Hoffa, aveva esclamato: ‘Devo occuparmi di quel figlio di puttana di Bobby Kennedy… Non ha nemmeno delle guardie intorno a casa. Siete pratici delle bombe al plastico?’.
Le minacce raggiunsero l’apice dopo che Kennedy cominciò la corsa alla presidenza…
(T. Clarke, L’ultima campagna)

















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