giuliano

mercoledì 3 marzo 2021

CERCALO AL DI SOPRA DEL CIELO STELLATO! (15) (29)




















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Quella combinazione opera politicamente perché è nell’intero ‘progetto’ totalitario – nei suoi presupposti e nelle sue finalità, nelle sue azioni e nelle sue istituzioni – che essa attualizza il suo potenziale cortocircuito. Alcuni dei suoi elementi si rafforzano persino o si estremizzano congiungendosi, a dispetto della loro apparente opposizione. Un caso sembra particolarmente eloquente e inquietante: il nichilismo annunciato da Nietzsche nelle sue pagine genealogiche e profetiche, o prefigurato da Netchaiev nel suo Catechismo rivoluzionario, accompagna e anzi sembra sorreggere il determinismo biologico, il dogmatismo storicista e i progetti fanatici caratteristici delle imprese totalitarie.
Aron evidenzia talvolta direttamente i presupposti teorici del fondo o del risvolto nichilista delle tirannie moderne e ne discute le più influenti formulazioni. Caratteristicamente, mette soprattutto in luce come esso operi politicamente, come cioè venga a ispirare l’azione degli uomini nella storia e così i regimi politici: e nei motivi umani che una situazione intellettuale o spirituale si rivela ed esprime, e in essi che ‘pratica’ e ‘teoria’ per così dire comunicano, anche quando e una volontà distruttiva a definirli.
La situazione della ragione nella Città pare dunque in effetti significativa,se non decisiva, tanto per la ragione quanto per la Città. Il  discernimento di quel nesso filosofico-politico giustifica e illustra il significato dell’incessante sforzo aroniano di svelamento delle dottrine totalitarie, delle passioni che esse destano e delle giustificazioni che forniscono. Quell’operazione di chiarificazione teorica, che si vuole in quanto tale per Aron educazione al ragionamento politico, si rivolge anche a quanti sono sensibili alla tentazione totalitaria senza farsene agenti diretti, perché le tirannie moderne, come abbiamo visto, affondano le loro radici anche in speranze o opinioni diffuse nella società moderna, in speranze o opinioni che si presentano come liberatrici.
Il cortocircuito poc’anzi richiamato e latente anche in questi ultimi, in spiriti che sono finiti nell’orbita di quella tentazione senza cedere ad essa completamente, in pensatori che, dando il ‘là’ a una melodia che non ha smesso di risuonare, hanno inteso conciliare Kierkegaard (secolarizzato) e Marx in una prospettiva di prassi storica: Il dottrinarismo degli esistenzialisti, particolarmente rivelatore, presenta, ingranditi fino alla caricatura, gli errori intellettuali che paralizzano la riflessione politica. Gli esistenzialisti cominciano con una negazione, vicina al nichilismo, di ogni costanza umana e sociale, e finiscono con un’affermazione dogmatica di ‘una verità unica’ in una materia in cui la verità non può essere una…
Anche l’incontro fra la razionalizzazione delle istituzioni o degli strumenti e l’irrazionalità dei fini o delle ‘esistenze’ non sembra solo minacciare, nel mondo moderno industriale, burocratico e nucleare, gli intellettuali irresponsabili e la Città tirannica: ‘Soffriamo tanto un eccesso di scienza, che concede a pochi uomini dei poteri smisurati sulla materia e sui loro simili, quanto una mancanza di Ragione’.
Nella corruzione politica delle società moderne sembrano in effetti maturare i germi di una malattia o di una debolezza più generale, condivisi e diversamente affrontati da quelle società. In questa cornice interpretativa in cui l’intenzione originaria e le pratiche, l’orizzonte filosofico e le traduzioni istituzionali, la situazione della ragione e la vita politica caratterizzano congiuntamente la natura dell’associazione umana, la comparazione tra regimi precisa ulteriormente la sua portata e, per cosi dire, si complica approfondendosi.
Democrazia e totalitarismo presentano una differenza essenziale dovuta alla diseguale qualità della loro imperfezione, ma condividono anche delle finalità ambivalenti – gli ‘imperativi moderni’ – e la comune natura politica, cioè il carattere di regimi soggetti alle dinamiche delle cose politiche. Si può cosi dire che a partire da quelle condizioni – dalle basi politiche e moderne – ogni Città può farsi tirannica e che la Città tirannica non e necessariamente votata dai suoi vettori moderni (razionalizzazione, industrializzazione ecc.) alla convergenza democratica, ma anche che la Città moderna non è condannata a divenire tirannica se sa essere capace di saggezza politica…

L’insegnamento tirannico trasmesso dal Gerone di Senofonte, scrive Leo Strauss, ‘porta alla luce la natura delle cose politiche’.
La prima grande opera del filosofo tedesco dedicata alla riscoperta del razionalismo politico classico non è quindi ‘solamente’ dedicata al recupero di una categoria   perduta dalla scienza politica, quella di ‘tirannide’ o di ‘tiranno’. Con ciò non si intende tuttavia affermare che il titolo voglia essere fuorviante.
Con una leggera forzatura, si potrebbe addirittura affermare che il problema della tirannide e stato costantemente presente nel pensiero e nell’insegnamento di Leo Strauss. A questo proposito significativa e l’affermazione dell’introduzione, secondo cui ‘La società tenterà sempre di tiranneggiare il pensiero’.
Naturalmente per pensiero Strauss intende il pensiero filosofico, la libera ricerca della saggezza.
…E questo pericolo, o meglio la coscienza di questo pericolo, a trasformare la filosofia in filosofia politica. Non sono infatti le cose politiche il primo oggetto d’indagine della filosofia. La filosofia nasce grande, interrogandosi sulla causa o sulle cause prime del tutto. La filosofia politica sorge nel momento in cui il filosofo si sente minacciato da peculiari dinamiche della società: dinamiche che, seppur non immediatamente, rivelano tratti dell’anima tirannica. Proprio per questa ragione va letta cum grano salis la cavalcata conclusiva del Restatement in cui Strauss, rispondendo a Kojeve, tratteggia a tinte fosche una eventuale tirannide universale e finale. L’ombra del tiranno definitivo, e in quelle pagine Strauss sembra essersi ispirato a Stalin, e tramontata da tempo. La terribile urgenza che nel secondo dopoguerra sembra aver giustificato il ritorno ad un dialogo perduto e dimenticato dalle scienze politiche contemporanee pare definitivamente svanita. Probabilmente oggi noi non siamo più minacciati da una tirannide spietata e tecnologica, capace di ridurci in uno stato subumano ‘in un sol colpo e senza pietà’. Ma che ne è stato di quel lento processo di livellamento del pensiero, ‘preparato in modo nascosto e spesso del tutto inconscio dalla diffusione dell’insegnamento secondo cui tutto il pensiero umano è collettivo indipendentemente da ogni umano sforzo dedito a questo fine, perché tutto il pensiero umano è storico?’.
Cosa ha da spartire con la tirannide?
Si potrebbe sottolineare l’inattualità maturata dallo studio straussiano, sanzionata dall’inesorabile passare del tempo – ma non solo. Se da un lato il senso comune constata il tramonto di poteri mondiali cosi forti da poter costituire la concreta minaccia di una tirannide perpetua e universale, dall’altro una prima lettura può escludere che Senofonte avesse di fronte a se un processo di collettivizzazione del pensiero dovuto alla volgarizzazione di una corrente filosofica esplosa solamente al tramonto del XIX secolo.
In un caso il lavoro di Strauss richiederebbe una adeguata collocazione nel museo della storia della scienza politica.
Nell’altro esso appare clamorosamente anacronistico e guidato da una fuorviante deformazione ermeneutica. Queste due considerazioni, che sembrano mettere in dubbio la necessità di tornare ancora una volta ad interrogare filosoficamente un testo già ampiamente approfondito e discusso, suggeriscono piuttosto di sottrarre l’analisi della tirannide alle urgenze politiche del presente, e soprattutto di tornare su quel fenomeno di soffocamento del pensiero cui allude Leo Strauss nell’introduzione di quell’opera per certi versi decisiva – fenomeno che trova la sede appropriata della propria analisi, sorprendentemente, in uno studio dedicato al Gerone di Senofonte.
Possiamo e dobbiamo infatti chiederci se quel processo silenzioso e livellante non abbia fatto qualche passo in avanti. Ciò implica il ritorno alla questione filosofica delle ‘condizioni elementari e discrete della libertà umana’ e, seguendo Strauss, alla questione della tirannide.
….La citazione sopra riportata, riguardante il pericolo costituito dalla società per il pensiero, va riconsiderata nel suo immediato contesto. Stando alle osservazioni preliminari dell’introduzione, l’opera di Senofonte e un eccellente esempio di retorica socratica, uno strumento indispensabile alla filosofia che si mostra necessario a partire dalla ‘premessa secondo cui c’è una sproporzione fra la ricerca intransigente della verità e le esigenze della società, o secondo cui non tutte le verità sono sempre inoffensive’: le necessità della vita politica, ovvero della vita umana in quanto vita in comune, e della vita filosofica, la vita spesa alla ricerca della conoscenza della causa o delle cause prime del tutto, non sarebbero conciliabili.
Ma in che senso questa sproporzione può rappresentare un pericolo?
La prima formulazione della premessa fondamentale evidenzia l’aspetto problematico della ricerca della verità, che come pratica radicale di skepsis metterebbe a rischio la polis turbando le opinioni dei cittadini. La vita politica di una comunità, argomenta Strauss, si sostiene infatti su autorevoli dogmata morali largamente condivisi che orientano e rafforzano il legame sociale, ed ogni comunità politica e conservatrice nella misura in cui non può rinunciare a questi dogmata senza evitare il disordine e l’anarchia.
Il filosofo, che non può che concentrare tutte le sue energie nel trascendere la dimensione dell’opinione per accedere alla conoscenza, e necessariamente trasgressivo dal punto di vista dell’ordine politico. Infatti il movimento di pensiero che gli permette di ‘uscire dalla caverna’ implica la messa in discussione dell’autorità della città e quindi del fatto che la giustizia corrisponda al rispetto delle leggi della città, ovvero di quelle opinioni autorevoli ratificate dall’autorità dei legislatori. La frizione irrisolvibile fra pensiero e società è un problema ‘coevo alla vita politica’ che in casi estremi può degenerare nella persecuzione dei filosofi, ovvero esporli ad un pericolo mortale. Per evitare la soluzione estrema della fuga e poter vivere tranquillamente nella città, il filosofo deve mascherare la propria natura proteggendosi dall’eventuale indignazione morale che il suo interrogare spregiudicato può suscitare nell’animo dei ‘buoni cittadini’ o dall’intervento repressivo delle autorità nei suoi confronti: infatti ‘i saggi sono atti ad essere invidiati da uomini che sono meno saggi o per niente saggi, e sono esposti ad ogni sorta di vaghi sospetti da parte dei molti’. […] ‘La diffidenza nei confronti dei saggi, che deriva da una mancanza di comprensione della saggezza, è caratteristica del volgo’.























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