giuliano

martedì 12 dicembre 2017

CON IL 'BENEFICIO DELLA PACE IN CRISTO' (55)











































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Con il 'Beneficio della pace in Cristo'  (54)

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Una Lettera (56)














Sul Beneficio di Cristo
Sono quasi due anni che il libro è stato stampato. Ha scatenato polemiche (già il cardinale Cervini lo ha vietato nella sua diocesi), ma ciononostante continua a circolare indisturbato e anzi, conosce grande diffusione.
I viterbesi fanno finta di niente, e intanto si preparano a portare le tesi del libro al Concilio di Trento (Reginald Pole: ‘Ci sono tempi e luoghi giusti per le idee, che scelti con cura possono impedire ai nuovi tribunali di fermarle’). Pole spera di battere Carafa sul tempo: la diffusione delle idee riformate contro la costruzione dell'Inquisizione.
Il Beneficio di Cristo può essere un'arma a doppio taglio che colpisca chi l'ha forgiata? E come?
Fare in modo che il Concilio lo scomunichi subito e smascherarne gli autori? Attribuirlo a Pole e al suo circolo di amici?
No, l'inglese negherebbe tutto, la sua credibilità è troppo alta per imputarlo di eresia, e poi non ci sono prove che sia stato lui a redigere il libro. Se riuscisse a scagionarsi ne uscirebbe piú forte che mai. Questo il mio signore lo sa; è uomo troppo prudente per concedere una tale opportunità al suo maggiore avversario.
Meglio invece: ordire una tela, dove uno dopo l'altro cadono tutti i cardinali che guardano con simpatia ai riformati. Un libro che passa di mano in mano, di biblioteca in biblioteca, e contamina chiunque lo tocchi. E quando raccogli la rete, prendi tutti i pesci grossi in una volta. Occorre lasciarlo circolare, anche se il Concilio lo scomunicasse, lasciare che gli amici di Pole lo leggano, ne restino affascinati, cosí come sono affascinati da quel bell'intelletto inglese. Intanto Carafa lavora, costruisce passo passo la macchina che lo metterà nelle condizioni di incastrarli tutti in un colpo solo. Sí, è così che ragiona il mio signore. Ma un gioco del genere può sfuggire di mano, diventare troppo grande anche per la sua mente ubiqua.




Sul Concilio
29 giugno 1542: pubblicata la bolla papale di  convocazione del Concilio ecumenico.
21 luglio 1542: bolla papale Licet ab initio che istituisce la Congregazione del Sant'Uffizio dell'Inquisizione.
Tra queste due date, ripresa della guerra tra Carlo V e Francesco I.
A quanto pare, se non è Concilio, è guerra, di eserciti o di intelletti, non fa troppa differenza.
De Concilio: una difesa velata delle tesi del Beneficio di Cristo. I cardinali Spirituali vogliono trasformare il Concilio di Trento nella sede privilegiata per affrontare la questione della giustificazione. Il Concilio dovrebbe diventare la forza contrapposta all'Inquisizione, che va irrobustendosi sotto l'astuta guida di Carafa. Non vi sono dubbi che il mio signore si prodigherà affinché le tesi del  Beneficio vengano condannate ancor prima d'essere discusse.




Su Carafa
C'è da chiedersi cosa mai troverebbe Vesalio, il necrofilo, dentro quest'uomo il cui sguardo sembra puntare verso un orizzonte troppo lontano, non di questa terra. Forse tutto il timore che Egli incute. O la grazia divina della mente insondabile del Creatore sotto le celate fattezze della crudeltà.
Chi è mai costui?
Padrone mio e monaco, maestro di simulazione e dissimulazione, da genía nata per comandare, vescovo prima e poi povero teatino per voto. Nemico dell'Imperatore, che tenne infante sulle ginocchia, già disprezzandolo; di intuito che parrebbe diabolico, se non se ne conoscesse la fede; sommo architetto del Sant'Uffizio, rinato per lui e sotto di lui, che ne custodisce i segreti, le mire, e lo fa crescere come una prole amata, con smisurata energia, a un'età che gran parte degli uomini già da lungo tempo trascorre tra vermi e terra; apostolo di ciò che oltre ogni cosa lo esalta: la guerra spirituale, lotta interiore ed esteriore, senza quartiere, alle seduzioni dell'eresia, sotto qualsiasi forma si presentino.
Chi è mai costui?

Su di me
L'occhio di Carafa.





                                Pietro Perna


Pietro Perna è arrivato in città. Ha lasciato un messaggio per me alla libreria di Arrivabene, fissando l'appuntamento nella bottega di Jacopo Gastaldi, un pittore a cui desidera commissionare un quadro.
Il maestro sta istruendo uno degli apprendisti sul colore da usare per completare un disegno.
‘Messer Perna non è arrivato?’, domando dalla porta.
Un cenno della testa mi invita a entrare. La tela sul cavalletto è davvero grande e ritrae Venezia, a volo d'uccello, incredibile labirinto d'acqua e terra, pietra e legno, dimora di almeno centocinquantamila persone di diversissime razze, con chiese in numero superiore a cento, sessantacinque monasteri e forse ottomila case da meretricio.
Per qualche istante la sorvolo.
Colpisce subito l'assenza di mura e di porte, di torri difensive e bastioni. L'acqua della laguna pare sufficiente a scoraggiare i peggiori nemici. Molti palazzi, d'altronde, sono alti come e piú di qualsiasi muraglia e potrei scommettere che ci vorranno tutti i colori della tavolozza per dar ragione delle tinte e dei marmi che si affollano su quelle facciate.
Con il consenso del Gastaldi, inganno l'attesa aggirandomi tra i dipinti, terminati e ancora in corso d'opera.




Un quadro ben piú piccolo del precedente raffigura un canale fitto di imbarcazioni: dalla galera piú imponente, con vogatori negri, alla piú semplice barchetta, con un unico remo. Sulla fondamenta che lo costeggia si distinguono un turco, con il caffettano arabescato, e almeno tre donne, inconfondibili, poiché svettanti sulla folla grazie a quegli zoccoli altissimi che ho visto calzare, bionde come son bionde quasi tutte le ragazze di qui, non per nascita, come in Germania, ma grazie all'abitudine di esporre i capelli al sole, bagnati di essenze e stesi su quegli strani cappelli a larga tesa, privi di cupola.
Subito dietro questa, ci sono altre due tele, di dimensioni identiche. Due ritratti incompleti: uno di donna e quello di un magistrato. La donna è ingioiellata dalla testa ai piedi, addirittura pendagli d'oro alle orecchie, secondo l'uso delle femmine di Venezia di esporre su tutto il corpo un numero spropositato di gioie, perle e pietre preziose. Il magistrato porta una toga di colore acceso, che dovrebbe indicare l'appartenenza a una delle tantissime congreghe del serenissimo governo.
Dalla bestemmia alle risse, dai forestieri alla vita notturna: non c'è aspetto della vita dei veneziani che non sia regolato da una particolare magistratura. Pietro Perna sostiene che il sistema è davvero complicatissimo, tanto che il popolo ha probabilmente rinunciato a capirci alcunché e si astiene dal protestare e contestare il potere, indirizzando tutte le tensioni ai giochi piú brutali, come la caccia dei tori, e le risse tradizionali tra Castellani e Nicolotti, per la conquista di un ponte a suon di pugni e bastonate.




Una cornice preziosa, con stucchi e trafori, avvolge un quadro alquanto misterioso: la laguna vi appare ingombra di imbarcazioni di ogni tipo, tra le quali ne spicca una, ornata di drappeggi e colori, dall'alto della quale un uomo che potrebbe essere il Doge fa un gesto strano verso il mare aperto.
‘Vi interessate di pittura, compare?’.
La voce stridula di Perna mi sorprende alle spalle.
‘O piuttosto è il soggetto della tela a stupirvi?’.
Indico la figura al centro del dipinto: ‘Il Doge, vero?’.
‘In serenissima persona, nell'atto di sposare il mare, gettando un anello d'oro tra i flutti, come è tradizione per la festa della Sensa, l'Ascensione della Vergine. I veneziani vanno pazzi per questo genere di rituali’. Mi stringe la mano e si allarga in un sorriso. ‘Benvenuto a Venezia!’.
‘Felice di rivedervi, messer Pietro. Ora che siete qui, spero mi farete da guida in questo labirinto, ancora non m'è riuscito di orientarmi. E se in cambio potrò esservi utile a qualcosa...
Lo sguardo circospetto, si fa vicinissimo: ‘Ecco, potreste, potreste... è per via di una signora, capito?, ho qui una lettera per lei, ma non posso portarla alla sua domestica, che se il marito dovesse vedermi, diventerebbe particolarmente nervoso. Mi domandavo se voi non sareste tanto gentile... Senza dare troppo nell'occhio s'intende’.  
‘Mi offrirete finalmente la cena che mi avete promesso a Basilea?’.
‘Chiedete e vi sarà dato, amico mio, un cuore pazzo d'amore non bada a spese!’.



  


                               Breve Prologo



Intanto le notizie dagli inquisitori veneziani annunciano nuove preoccupazioni in merito alla diffusione del Beneficio di Cristo. Sembra che nelle campagne essa stia dando vita a episodi incontrollati.

Notizie da Venezia
L'inquisizione veneziana è sulle tracce di un francescano, conosciuto col nome di frate Pioppo, attivo nel Polesine. Molti contadini di quelle parti hanno rivelato in confessione di essere stati da lui battezzati ‘nella fede nuova del beneficio di Gesú Cristo’.

Dall'altra parte del Po, una famiglia di pescatori si è rifiutata di far battezzare il proprio figlio, ‘ché ancora non può comprendere il mistero di Gesú Cristo sopra la croce’. Non hanno menzionato in alcun modo frate Pioppo.

A Bassano una donna ha chiesto asilo in un convento di suore, poiché il marito l'ha picchiata per convincerla a farsi ribattezzare. In casa dell'uomo è stata trovata una copia del Beneficio di Cristo.

La rozza religiosità popolare riesce a dare vita alle piú assurde miscele. Idee forti nelle mani di menti semplici. Da dove è stata attinta l'idea di ribattezzare gli adulti? Non certo dalla materia del libello eretico.
Reperire ulteriori notizie.
Parlarne a Carafa?




27 febbraio 1548

Perché il vecchio non ha ancora usato il Beneficio di Cristo come arma contro Pole e gli Spirituali? Perché non ha ancora sconfessato gli avversari? Gli basterebbe poco: sul libro pende la scomunica del Concilio, al vecchio sarebbe sufficiente incarcerare fra' Benedetto da Mantova e fargli fare i nomi dei suoi tutori, di chi ha preso in consegna il testo e l'ha redatto e stampato.
È probabile che Carafa tema di bruciare le proprie carte troppo presto. Sta ancora aspettando. Ma cosa? Paolo III non ne avrà ancora per molto e l'inglese potrebbe diventare Papa, con grande gioia dell'Imperatore che vedrebbe intraprendere una riconciliazione con i protestanti.
Forse è proprio questo che il vecchio aspetta con pazienza, il colpo letale, stoccato all'ultimo momento. Ma quanto crede di poter vivere ancora?


Viterbo, 4 maggio 1548

Frate Michele da Este, priore del convento di San Bonaventura presso Rovigo, ascoltato dagli inquisitori della Serenissima in data 12 marzo 1548, in merito all'attività di un certo frate Pioppo, sospettato d'eresia.
Un nome e un cognome: Adalberto Rizzi, francescano del convento di San Bonaventura, scomparso alla fine di gennaio del 1547, insieme a un ospite tedesco, un pellegrino che ha detto di chiamarsi Tiziano, il quale lo avrebbe ribattezzato con l'acqua di una pozzanghera.




Altre notizie pervenute dagli inquisitori veneziani

Vicenza, 17 marzo 1548: arrestati un falegname e un oste, sorpresi ad abbaiare durante un battesimo. Interrogati su chi li avesse convinti che ‘battezzare i neonati è come lavare i cani’, hanno risposto: ‘uno che professa la fede d'Allemagna, e lo fa con autorità, perché tedesco’.  

Padova, 6 aprile 1548: lo studente Luca Benetti sostiene pubblicamente che ‘il battesimo è inutile per le menti che non possono conoscere i misteri della fede, e specialmente quello del beneficio di Cristo verso tutta l'umanità’.
Sentito in merito alle sue affermazioni sostiene gliele abbia suggerite un letterato tedesco di nome Tiziano.

Elementi del quadro

Rovigo. Bassano. Vicenza. Padova.
Un percorso, un cammino. Un viaggio? Oppure un semicerchio, il cui centro è indubbiamente Venezia.

Un tedesco. Un tedesco, la cui presenza forse spiega l'origine dell'idea del secondo battesimo.
(Un anabattista?)

Un tedesco che dice di chiamarsi Tiziano. Regala copie del Beneficio di Cristo e ribattezza i villici.
Tiziano il tedesco.
Il Fondaco dei Tedeschi a Venezia. Gli affreschi dipinti da Giorgione e dal suo allievo Tiziano sulle pareti esterne del Fondaco.

Il nostro anabattista è un tedesco che vive a Venezia. Come dire un ago in un pagliaio.




5 maggio 1548

C'è un tempo e un luogo per cui ogni cosa abbia un inizio e una fine. E poi ci sono cose che invece ritornano. Salgono a galla dagli anfratti dell'anima come pezzi di sughero sulla superficie di un lago. Quasi minacce oscure, o ragioni per vivere, vendette, frammenti, schegge.

C'è un tempo per la guerra e un tempo per la pace.

C'è un tempo in cui ogni cosa può essere fatta e quello in cui non hai scelta, perché improvvisamente il coraggio e la foga di vent'anni scompaiono sotto le rughe del volto.
E cominci a temere l'arrivo di un messaggero. Quale sarà il prossimo incarico? Temo il disgusto che percorre la strada stretta dallo stomaco alla mente. Qualcosa da nascondere dietro l'autorità delle missioni compiute, dietro l'esperienza, e che però non può sparire, anzi, diventa piú forte ogni giorno, per quanto vorresti ricacciarla giú nel fondo, incapace di trovare un motivo, l'appiglio di mille volti, di uomini e di donne mandati all'inferno.
Poi un bel giorno ti scopri a dirti che non sei stato tu. Che non hai impugnato tu la spada. E allora capisci d'essere finito.

Viterbo, 10 agosto 1548

Pervenuto da Ferrara il verbale d'interrogatorio di tal frate Lucifero, in merito alla diffusione dell'eresia tra la comunità dei cosiddetti ‘pirati del Po’, già piaga dei mercanti ferraresi, recentemente estirpata dal duca Ercole II d'Este.
L'inquisito ha dato segni evidenti di pazzia, dichiarando di ignorare in quale anno di grazia stiamo vivendo e manifestando la convinzione che Leone X sia ancora Papa.
Accusato di aver introdotto rituali eretici e paganeggianti tra i fuorilegge delle paludi e in particolare di praticare il battesimo degli adulti, si è difeso sostenendo di aver ricevuto quella consegna da un missionario, tale frate Tiziano, inviatogli dall'abate di Pomposa. Costui gli avrebbe fatto dono del ‘librum de nova doctrina’, Il Beneficio di Cristo, imponendogli poi il secondo battesimo.

17 agosto 1548

Dalla confessione di frate Adalberto Rizzi, conosciuto anche come frate Pioppo, catturato sulla sponda ferrarese del Po in data 30 giugno 1548 e detenuto nelle carceri del duca d'Este:

‘Ed egli mi invitò a considerare che avendo chiesto a un fanciullo di cinque anni chi fosse Gesú Cristo, gli era stato risposto: una statua. E da qui deduceva che non era giusto somministrare la dottrina a menti incapaci di comprendere’
‘Disse che la devozione verso le statue e i simulacri apriva la strada a una fede ignorante e inetta’…
…‘Sí, affermò di chiamarsi Tiziano e di essere diretto a Roma’…

Il bambino e la statua.
Brividi. Brividi dentro la testa.
Il bambino e la statua.

Qualcosa di distante che si avvicina velocissimo, trascinato da un vento che spazza la memoria. Il bambino e la statua. 

(L. Blissett, Q; accompagnato dalle opere di A. Wyeth)



















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